Si dice che l’incrocio più pericoloso del mondo sia nel sud della Cina.
È il crocevia di quattro strade a sei corsie dove passa quasi un milione di auto al giorno, più qualche migliaio di motocicli e altrettanti eroici pedoni, che si avventurano nel tentativo di raggiungere la destinazione desiderata.
Quest’incrocio è privo di semafori e di qualsiasi segnaletica. Non esistono cartelli che indichino il diritto di precedenza, la direzione vietata o il corretto senso di marcia.
In questa intersezione, dove l’imprevedibilità è la sola regola di cui tener conto, le sensazioni sono gli unici strumenti che regolano l’attività di chi si trova in mezzo all’incrocio.
In una situazione del genere, fatalmente dominata dal caos, il risultato dell’attraversamento è un’incognita, tanto frutto del calcolo quanto dei tentativi.
Ho voluto utilizzare la metafora di quest’incrocio per parlare delle patologie in cui la comunicazione è tanto improbabile, quanto necessaria.
L’assenza di adeguati strumenti in grado di gestire milioni di “dati” ogni giorno e di prendere, di conseguenza, delle decisioni che implichino un comportamento, rappresenta spesso la condizione delle persone diversamente abili, colpite da patologie relativamente complesse e decisamente compromettenti.
Sono come i conducenti di un’auto che deve svoltare a sinistra e non può farlo, un pedone che deve attraversare una linea e non riesce a superarla, o ancora un motociclista che deve frenare per evitare di scivolare.
I semafori e i cartelli rappresentano per questi corpi un dato essenziale con cui calcolare, o quanto meno provare a farlo, le dinamiche delle proprie azioni e le traiettorie dei propri pensieri e dei propri gesti. Sono strumenti necessari per orientare il percorso dei loro attimi, delle loro giornate e della loro intera vita.
Una vita di cui la comunicazione è la parte principale, basilare. È il motore che permette di accostarsi alla realtà e di entrare in un mondo che, soltanto con i mezzi e i metodi adatti, diventa comprensibile.
Gli scrittori tengono la testa china sui propri fogli, toccando la carta con l’inchiostro della penna che stringono tra le mani.
I pittori incollano lo sguardo sulla propria tela, osservando i minimi dettagli che li circondano e riproducendoli attraverso la loro tavolozza.
I musicisti tendono l’orecchio all’infinito, cogliendo i silenzi e i volumi dell’ambiente per rinnovarli in note e ritmi di una melodia.
Qual è l’abilità di queste persone? Quali sono le follie e quali le virtù di quelli che chiamiamo artisti?
Una penna, una tavolozza e una tastiera permettono loro di mettere in pratica delle abilità che non sarebbero state utili senza gli attrezzi adeguati. Questo è la Comunicazione Aumentativa Alternativa (C.A.A.): uno strumento che consente di trasformare irrefutabili capacità in valide esperienze.
A Milano, il Centro Benedetta D’Intino, attraverso la C.A.A., offre metodi e mezzi per rendere la vita dei nostri cari un’opera d’arte, con l’obiettivo di convertire la sensazione di chi si trova in mezzo a un incrocio, in un’azione capace di rendere il percorso più sicuro e pregno di senso.
In questo modo i nostri figli, fratelli o amici che siano, anche se non diventeranno degli artisti, di sicuro saranno capaci di realizzare un capolavoro.