Istruzione: crescono gli abbandoni scolastici

Abbandoni scolastici, impennata di segnalazioni alle procure minorili dopo un anno di Covid. In Lombardia si è passati dal 12,6 al 15% di abbandoni scolastici tra gli adolescenti.

Certo, il Covid ha responsabilità, ma già da prima la situazione era preoccupante. Nel 2018 l’Italia figura al terzo posto tra i 19 Paesi dell’area euro con il 14 % di abbandoni scolastici. Solo Malta (17%) e Spagna (17,9%) hanno risultati peggiori. La media EU è al 11% con l’obiettivo di scendere al 10%. Un problema che, insieme alla denatalità, è alla base della difficoltà delle imprese italiane di trovare personale qualificato. Nei prossimi anni le imprese rischiano di non poter contare su nuovi lavoratori sufficientemente preparati professionalmente. Tale criticità è una realtà già oggi in molte aree produttive, specie del Nord Italia.

Un giovane su quattro in Italia non studia e non lavora.

Giovani italiani che non dispongono di una adeguata preparazione professionale difficilmente saranno collocati nel mercato del lavoro “anche perché rischiano di perdere in partenza la competizione con gli stranieri nell’occupare i posti di lavoro meno qualificati”. Per due milioni di vite si tratta di uno tsunami di emozioni negative che vanno dall’angoscia alla delusione, fino al timore verso il futuro del nostro Paese.

Una fotografia forse inedita nei 160 anni di unità nazionale. Certo, il cammino postunitario è stato molto accidentato ed appesantito da un pieno carico di arretratezze, migrazioni, miserie,  disparità, conflitti. Eppure, nonostante tutto, è stato accompagnato da una comune e costante convinzione di speranza e da un desiderio di accrescimento e miglioramento (declinato attraverso tutte le espressioni di vita del cittadino dalla nascita alla morte, dalla famiglia agli affetti, dalla scuola al lavoro). Molte vite che un tempo apparivano “diffusamente comuni”, oggi sono percepite esemplari al limite dell’irripetibile.

Quante maestre tra la fine dell’800 e i primi del 900 insegnavano “a leggere, a scrivere e a far di conto” a sessanta bambini per classe con un lavoro che, di regola, andava oltre gli orari scolastici canonici. Un impegno che spesso si confrontava con le sofferenze e gli affanni delle famiglie i cui genitori lavoravano fino a 14 ore al giorno. Tempi nei quali le stesse maestre sostenevano le madri lavoratrici per ottenere mezz’ora di pausa per allattare i propri neonati. Quanti maestri che, con la passione e la competenza degli insegnamenti, hanno suscitato interessi che per alcuni hanno determinato il proprio orizzonte professionale. Come non ricordare quel maestro della scuola elementare di Gorla di Milano che negli anni Trenta, interessato di ottica, ne trasmise a tal punto eguale passione ad Antonio Canfora, figlio di ferroviere, che lo porterà ad insegnare a sua volta ed a primeggiare nella ricerca sull’ottica applicata.

Eurydice Network, del programma Erasmus EU, non si stanca di ricordare e ripetere ciò che dovrebbe essere un’ ovvietà “un maggiore livello d’istruzionepuò portare una serie di risultati positivi per l’individuo così come per la società in relazione ad impieghi, salari più alti, migliori condizioni di salute, minore criminalità, maggiore coesione sociale, minori costi pubblici e sociali e maggiore produttività e crescita.”

Nel nostro tempo dove tutto appare disponibile a portata di click, non aiuta la scarsa considerazione che l’opinione pubblica riserva all’istruzione e allo studio”. L’Unione Europea si è posta l’obiettivo di ridurre al 10% la media degli abbandoni scolastici partendo dalla scuola d’infanzia fino a giungere al ripensamento della stessa formazione degli insegnanti. E’ inoltre necessario ripensare al ruolo dell’apprendimento della lingua nell’integrazione dei ragazzi stranieri tra i più soggetti al fenomeno.

Il Consiglio Europeo ha adottato una raccomandazione per gli Stati membri che ruota su tre parole chiave: prevenzione, intervento (mirato ai soggetti ritenuti più a rischio) e compensazione (per riavvicinare alla scuola chi l’ha abbandonata in passato). Inoltre agli Stati si richiede di attuare delle strategie sistemiche, individuando i principali fattori all’origine dell’abbandono scolastico a livello nazionale, regionale e locale.

Il gruppo di lavoro tra Stati che è stato creato per comparare le diverse strategie e le conseguenti esperienze è giunto alla conclusione della necessità di un approccio che coinvolga l’intera comunità scolastica, dai dirigenti sino alle famiglie, al fine di dar vita ad una azione coesa, di comunità, collaborativa.

Sinora i maggiori risultati li ha conseguiti il Portogallo che, nell’arco di vent’anni, è passato dal 45% al 10,2% degli abbandoni.  E’ stata determinante la riorganizzazione dell’istruzione professionale con il conseguente incremento dei diplomati ed il miglioramento delle conoscenze di base. Ancor più decisiva è stata, nel 2016, l’adozione di un programma ministeriale che ha offerto incentivi direttamente agli istituti scolastici per creare un piano di azione, al fine di migliorare i propri insegnamenti.

Tra altre misure, il rafforzamento del tutoraggio agli studenti, maggiore prossimità tra studenti ed insegnanti, fornire un supporto sistematico nella scelta del giusto percorso di studi per ogni alunno.

Certo, a scuola gli insegnanti e gli studenti giocano un ruolo centrale, ma l’intera comunità ha il dovere di mettere in discussione alcune necessità superflue dell’oggi, come il riappropriarsi di quel che oggi scarseggia un po’ troppo spesso, il buonsenso. E, per dirla come Winston Churchill: Non c’è per nessuna comunità investimento migliore di mettere latte dentro i bambini”.