È opportuno ricordare che, quando pronunciamo la parola etica, ci riferiamo, nel linguaggio strettamente filosofico, ad ogni dottrina o riflessione intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in relazione a quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo; quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane.
In senso più ampio, con il termine in questione, si possono indicare un complesso di norme morali e di costume che identificano un preciso comportamento nella vita di relazione con riferimento a particolari situazioni storiche. Ancora: l’insieme dei doveri strettamente inerenti alle attività professionali svolte nella società.
Trattasi una definizione che si trova agevolmente in ogni vocabolario, ma in un’epoca quale quella che stiamo vivendo, assume un particolare significato.
Lungi da me l’idea di creare una dottrina specifica, io un interrogativo me lo sono posto, quando, come tutti, sono stato travolto da un effluvio di comunicazioni scientifiche che mi hanno talvolta narcotizzato e, in altre occasione, hanno stimolato un senso di grave ripulsa.
La comunicazione scientifica
Va detto, in linea di premessa, che la comunicazione scientifica, nel nostro sistema di vita, assume una rilevanza fondamentale. L’uso di termini tecnici, ad es. in campo medico, aiuta tutti gli appartenenti a quella disciplina a comprendersi l’un l’altro. Se, a mero titolo di esempio, un medico tratta il tema di una neoplasia, è sicuro che un altro medico lo comprenderà appieno: essi potranno scambiarsi le loro cognizioni tecnico-scientifiche per curare al meglio un paziente che ne sia affetto. Orbene la disciplina medica ci dice che con quel termine si indica una massa di tessuto che cresce in eccesso e in maniera scoordinata rispetto ai tessuti normali.
Allo stesso modo, un architetto che usi il termine computo metrico estimativo verrà immediatamente compreso da un altro architetto. E ancora: l’avvocato che pronunci la locuzione domanda riconvenzionale, indicherà un momento del processo civile che potrà condividere con altro avvocato o con un giudice.
Quanto sopra, serve a specificare che la comunicazione scientifica assume una rilevanza imprescindibile, atteso che permette l’interlocuzione chiara fra chi ha studiato quella determinata materia e ne è divenuto, appunto, un tecnico.
Se la comunicazione scientifica rimane racchiusa all’interno di ambiti specificati, molti problemi possono dirsi risolti, atteso che i tecnici si comprenderanno senz’altro l’un l’altro, proprio in base agli studi che hanno svolto.
Con particolare riferimento al momento pandemico che stiamo vivendo, una certa comunicazione medico-scientifica ha assunto una rilevanza, nella nostra quotidianità, di particolare momento.
La comunicazione di carattere generale
Non passa giorno che i sistemi di comunicazione, di qualunque genere e tipo, ci diano contezza degli approdi medici in tema di vaccino.
Tuttavia, all’inizio del disastroso momento che stiamo vivendo, si ricorderà che la notizia riguardava, purtroppo, il numero dei morti, il sistema di cremazione dei medesimi, l’impossibilità di poter salutare chi stava morendo.
È stato un momento catastrofico sotto tutti i profili: non esisteva un solo viatico di speranza, non vi era alcun conforto per chi si trovava in grave negatività.
In tale, a tacere d’altro, drammatico momento storico, l’informazione tecnica, ancorché diventata generalista, ha mostrato tutti i suoi difetti. E, infatti, molti virologi hanno ritenuto di esporre le loro opinioni, spesso in contrasto l’uno con gli altri; molti medici hanno dichiarato che il virus era molto grave e foriero di morte, mentre altri ne minimizzavano la portata.
Come se non bastasse, i provvedimenti governativi hanno posto in essere un sistema di comunicazione inteso a creare un allarme angoscioso nei consociati: per convincerli a non uscire di casa, a non toccarsi. In una parola a vivere reclusi in attesa dell’arrivo della … medicina.
Poi la medicina è arrivata e ciascuno di noi ha preso contezza dei vari termini, anche scientifici. Oggi siamo arrivati al punto che non ci si domanda più qual è lo stato di salute, ma quale tipo di vaccino è stato inoculato: un diverso momento di comunicazione fra la popolazione.
La responsabilità della comunicazione
Si potrebbe proseguire oltre, ma è tempo di porre l’attenzione su chi la comunicazione la deve fare, vuoi perché è deputato ad una tale attività, vuoi perché sente un moto dell’animo che lo porta ad esprimere un concetto, sia esso tecnico-scientifico, sia esso diretto a chi tecnico non lo è.
Qui la responsabilità di chi informa è enorme.
A seconda del tipo di notizia da dare, sarà necessario un approfondimento specifico, inteso a chiarire, nei confronti di chi legge o ascolta, qual è l’oggetto esatto della comunicazione. Ulteriormente essa deve essere approfondita e veritiera, sempre a seconda del luogo in cui è manifestata.
Se si tratta di una notizia di poche righe che viene espressa attraverso un sistema di comunicazione di massa, è probabile che essa sia del tutto generica. Si pensi all’arrivo del vaccino in Italia. È sufficiente dire “è arrivato il vaccino”.
Diversamente, se si tratta di capire quale tipo di vaccino sia giunto nella nostra Nazione e quali siano i suoi effetti o i suoi componenti, sarà necessario comunicare attraverso un duplice sistema di argomentazioni: da un lato si dovrà indicare come è composto il vaccino, facendosi aiutare dagli scienziati per rendere semplice un concetto tecnico complesso. Dall’altro, si dovrà chiarire quali siano gli effetti di quel vaccino, quanta efficacia esso avrà e come dovremo comportarci. E questo non è ancora avvenuto; infatti, molti si chiedono quale sia la composizione di questo o di quel vaccino e, al momento, nessuno risponde.
Dunque, il responsabile della comunicazione avrà il dovere di esporre una situazione di fatto nei termini più semplici possibili e veritieri.
Accade, diversamente, che si comunichi in modo spesso diacronico, qualche volta incomprensibile, molto spesso foriero di panico.
La comunicazione a tentoni
Certamente si ricorderà che, nel momento più drammatico della pandemia, le comunicazioni, televisive e giornalistiche e di tutti gli altri generi, finirono per creare un vero e proprio momento di panico: nessuno sapeva più a chi credere e soprattutto nessuno era in grado di comprendere cosa stesse esattamente succedendo; l’unica certezza era, drammaticamente, la morte.
Nessuno appariva in grado di dare una notizia di speranza consapevole.
Normalmente, un medico che visita un paziente e gli diagnostica una qualunque malattia, conclude dicendogli, sempre, che sarà curato, che si troveranno tutte le medicine adatte e che laddove non vi fossero verranno create. Nessun medico, degno di questo nome, dirà ad un paziente che non vi è speranza e che l’unico obiettivo è la morte. Non è una ipotesi intrinseca dell’essere umano, ancorché la morte sia una certezza.
Non si può, tuttavia, luce di quanto appena espresso, perseverare nell’uso di una comunicazione che sia inveritiera, mai specificata, foriera di negatività.
È ovvio che una notizia negativa va data nella sua completezza, ma, di fronte all’incertezza, di fronte alla mancanza di cognizioni o di fonti attendibili, è meglio che la notizia non sia data o che sia data con le prudenze del caso.
Dire che un tal vaccino provoca la morte è un errore gravissimo, soprattutto perché trattasi di una comunicazione falsa. Semmai si potrà più correttamente dire che quel vaccino ha avuto un effetto negativo su un determinato paziente e che si stanno verificando le motivazioni connesse a quell’accadimento.
Una modesta conclusione
Mi piacerebbe, da semplice cittadino, avere contezza delle motivazioni che portano alla spiegazione di un determinato fatto storico.
Mi piacerebbe che la comunicazione fosse tale e, a seconda degli ambiti in cui essa viene esposta, che abbia il grado di approfondimento che le compete. Se un giornalista scientifico sta spiegando il vaccino nelle sue composizioni, egli dovrà spiegare, innanzitutto, che cos’è un vaccino, come si fa la sperimentazione, che effetti avrà sull’essere umano, eccetera.
Se non vi sarà sufficienza di esplicitazione della conoscenza, dovrà esser detto in modo che chi legge, chi ascolta, chi guarda non arrivi a trarre delle conclusioni inutilmente errate.
In questa situazione, la responsabilità anche dei nostri governanti assume una rilevanza fondamentale: dopo che ci è stato detto come lavarsi le mani, è opportuno che si diano delle direttive comportamentali chiare e non in contrasto l’una con l’altra.
Sotto altro profilo, il dire scientifico deve continuare più forte di prima, in ogni ambito ed in ogni luogo, di qualunque genere esso sia. Senza la scienza non siamo nulla, ma con una comunicazione superficiale ed errata creiamo dei mostri di cui non ci libereremo più.
L’etica della comunicazione va studiata a lungo e propugnata in ogni dove.