“Il re è nudo!”
L’urlo fanciullesco della fiaba di Andersen risuona incessante nelle orecchie dei sudditi del sovrano. Egli, vanesio e sempre adorno di abiti preziosi, venne a sapere di due sarti che produrrebbero vesti meravigliose; i due, in realtà, sono abili truffatori che, accorgendosi dell’infinita vanità del re, decisero di presentarsi da lui a mani vuote convincendolo, grazie anche alla volontaria cecità della corte reale, di stargli mostrando un abito di inestimabile bellezza. Il re non vede nulla e dunque, convinto che si tratti di una propria lagna, chiede consiglio ai suoi fedelissimi, che per paura di essere mal giudicati dal sovrano lo riempiono di complimenti invitandolo ad indossare l’abito inesistente del quale stavano tessendo le lodi. Il re, soddisfatto, si spoglia ed indossa questa veste immaginaria, sfilando per la città tra gli applausi scroscianti dei sudditi che, consapevoli di avere davanti un uomo senza vestiti addosso, gridavano di meraviglia pur di far contento il loro sovrano. Finché, tra la folla in estasi, un innocente bambino, al di fuori di quella malsana logica di sudditanza, si accorge del fatto e grida: “il re è nudo!”. Il silenzio totale, l’imbarazzo. Il re si guarda intorno, guarda la propria veste inesistente e dopo qualche attimo di riflessione ricomincia la sfilata, così come immediatamente ricominciano gli applausi e le ovazioni dei sudditi che tacitamente acconsentono a quel patto di cecità. Ma quel bambino ha visto, ha capito. Il re è nudo.
E così, come il sovrano vanitoso, il Cavaliere di Forza Italia fa i conti con sé stesso, col proprio partito e con gli yes-men che lo hanno circondato da quel lontano 1994. Il fascino, la brillantezza e l’aura magica che lo hanno avvolto si stanno sempre più inesorabilmente dissolvendo, col passare del tempo – che non fa sconti a nessuno. L’illusione del Silvio “Cavaliere d’Italia” è arrivata al capolinea, costringendo il tycoon a cercare ossigeno all’interno di un’improbabile federazione che lo vedrebbe inglobato in un pensiero politico dal quale si è sempre, fermamente discostato. Il sogno liberale si schianta definitivamente contro il gelido muro dell’esigenza di personalità giovani, fresche e politicamente impostate in maniera rigida sui soliti temi che da quasi vent’anni dividono il paese. Non è più possibile “fare il democristiano”, come qualcuno direbbe forse anche con una punta eccessiva di disprezzo; non è più possibile girare intorno alle questioni pur di seguire il liberismo incontrastato di centro che punta all’affermazione della lobby industriale senza vincoli di norma, di spazio, di concorrenza. “Questa cosa non si farà, ci sono troppe persone nel partito a cui fa schifo questo progetto” dice un membro di Forza Italia; “Rischia di ritrovarsi da solo pur di mettere la Meloni fuori dai giochi qui e in Europa” dice qualcun altro. E quando chiediamo di sapere se siano avvenute o meno delle consultazioni sul tema, un esponente dei vertici territoriali di FI nel Lazio ci risponde “qua non siamo i dem, non facciamo le primarie o altro: decide Silvio”. Mariastella Gelmini ha dichiarato di essere contraria ad un “annacquamento” di Forza Italia alla corte di Matteo Salvini, così come Brunetta e molti altri dirigenti sui quali il partito ha sempre fatto affidamento.
Berlusconi sembrava essersi ormai abituato a quello spicchio di elettorato che gli era rimasto da quando l’età ed il cambiamento del panorama politico italiano dalla fine di Monti in poi si sono fatti sentire, sembrava convinto di poter portare avanti la baracca con lo charme ed il carisma che lo hanno sempre contraddistinto. Ma il tempo passa, passano gli anni anche per il Cavaliere e la trasmigrazione dei dodici parlamentari forzisti in Coraggio Italia sono stati il campanello d’allarme, il fanciullo che rivela le nudità del sovrano. E non mancano di certo i dissidi interni, con il deputato Andrea Ruggieri che ha espresso il proprio totale dissenso verso “una classe dirigente che guarda solo al proprio tornaconto, che avvisa a cose già fatte e che invece di puntare a tornare al 20% si accontenta di quel 6% risicato facendo entrare chi prima ci indicava come mafiosi” in occasione dell’ingresso dell’ex grillino De Vito tra le fila del partito di Berlusconi. Ora che la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sembra aver provvisoriamente staccato la spina con la campagna elettorale furiosa a suon di diktat in conferenze stampa ed ospitate televisive, il Cavaliere cerca in Salvini l’appiglio per una destra moderata che, secondo il leader della Lega, dovrebbe essere “unita senza fusioni, attraverso visione comune e proposte di legge”. Come se le proposte di legge insieme non potessero presentarle anche senza SuperLega (chi ha orecchie per intendere, intenda). Numericamente parlando si sono sbizzarriti i sondaggisti, ma la realtà è che il periodo storico attuale ha dimostrato che gli elettori non sono masse informi da prendere e traslare con righello e calcolatrice.
Scongiurare la Meloni a Palazzo Chigi, consolidare un fronte in costruzione nel Partito Popolare Europeo, presentarsi coesi alle comunali, molteplici sono i motivi che potrebbero spingere i due partiti a dividersi la pagnotta. Lo squilibrio tra i due, però, è grande. Salvini ha fiutato l’occasione di acchiappare per le orecchie una frangia bene o male sostanziosa di personaggi nel panorama forzista, Berlusconi sembra annaspare nel tentativo vano di fare un passaggio di testimone degno di quella che è stata la sua grandezza passata, mediaticamente e popolarmente parlando. Questo è il segnale del definitivo tramonto di Berlusconi, e con lui tramonta un’era. Di certo non l’era della realpolitik, chiaro. Ma a suo modo il Cavaliere è stato un simbolo, tra le sue mille contraddizioni. Finiscono i riflettori, le battute ad Obama ed alla sua first lady, le barzellette ai comizi, finiscono le luminose sfilate con cui personaggi di alto calibro facevano capolino ad Arcore, da Vladimir Putin a Mike Tyson, finisce l’incantesimo del sogno che aveva stregato quasi tutta Italia. Non c’è più il classico nodo Windsor che si infila doppiopetto gessato, adesso il re è nudo. E chi se n’è accorto, sebbene con la consapevolezza che nessuno nei prossimi anni potrà mai essere artefice di un miracolo pop anche vagamente vicino a quello berlusconiano, sta già cucendo nuove, invisibili vesti al suo prossimo sovrano.
Di Filippo Alzani