Gli eventi economici, politici, culturali e sociali degli ultimi anni, con le trasformazioni, le storture e gli effetti che ne sono conseguiti possono portare chiunque a trarre una considerazione principale che utilizzerò per provare a spiegare perché, secondo me, il trasformismo non solo non rappresenta un peccato capitale, ma anzi, fa parte di una cultura politica mediana, che fa della politica la sua forza motrice principale.
Gli eventi degli ultimi decenni, dicevo, possono portarci a pensare che l’oggi, ovvero la realtà quotidiana che viviamo tutti i giorni, siano essi giorni di pandemia o di ordinaria amministrazione, è scandito da un ritmo incessante e perpetuo di cosa è bene e cosa è male, di cosa è chiaro e cosa è, invece, scuro.
La polarizzazione degli slogan e la democrazia del narcisismo [Giovanni Orsina, 2018], da anni, sono entrati a far parte della nostra vita; guidati da televisioni, giornali e media la popolazione sembra essersi assuefatta: non tollera la partigianeria, ma non potrebbe vivere senza. Un paradosso che riguarda soprattutto i titoli e non il contenuto della politica contemporanea.
Più viviamo divisi e più vorremo dividerci, perché è più facile, più comodo, più economico. Più ci faremo annoiare dall’oggettività del racconto della realtà e più vorremo scontro, bianco e nero, sì oppure no.
Un male, quello della polarizzazione ideologica e non approfondita, che la Sinistra non comprende e che la Destra legittimamente utilizza.
Come è possibile, dunque, capire il fenomeno del trasformismo se questo si sviluppa in uno scenario del tutto o in parte polarizzato?
Come può e come fa, la politica, a lasciare questo campo aperto in cui giocatori liberi si scambiano posizioni e casacca in base al risultato, al tifo, al possesso palla?
In Europa e in Italia individuiamo facilmente esempi di grandi unioni di intenti: la Große Coalition in Austria e in Germania o il Compromesso Storico della sinistra in Italia. Esempi, dal mio punto di vista, virtuosi perché dettati da un grande impulso identitario.
Proprio l’identità è la grande assente nel dibattito contemporaneo sulla politica. Identità, che non coincide affatto con l’ideologia, ma che è capace di trarne i suoi elementi positivi.
Manca l’identità in Italia, manca nel mondo e manca anche in Europa, ma non manca solo tra i banchi dei Parlamenti, ormai divenute fluide stanze del potere e sempre più simili a laboratori per esperimenti di ogni tipo. Manca tra la gente, tra le persone e i cittadini.
È quasi scomparso, o comunque difficile da individuare il senso civico, la responsabilità che ognuno ha nei confronti delle scelte che fa e nei confronti degli altri ed è cresciuto a dismisura l’elemento dell’individualismo e dell’opportunismo.
Bene, quando manca identità e senso civico all’interno della cittadinanza io mi chiedo come possa esistere un trasformismo consapevole e addirittura “responsabile” all’interno del luogo della rappresentanza, così come era stato chiamato il tentativo di soccorso al già Presidente del Consiglio Conte nel suo ultimo scontro d’Aula con Matteo Renzi, un tentativo, lasciatemelo dire, miseramente fallito.
Il trasformismo, un po’ come tutte le tecniche utilizzate dagli animali per mimetizzarsi, è uno strumento di difesa che combacia con l’elemento della sopravvivenza. Senza identità, questo approccio rischia di diventare incoerente e inutilmente dannoso al sistema.
Il sistema, già da come si struttura, può rivelare predisposizione o meno al trasformismo, perché in un sistema politico bipolare sono inferiori e infinitamente meno plateali i cambi di casacca, mentre in un sistema multipolare, che offre quindi molte più opzioni rispetto alla contrapposizione “conservatori vs. labouristi” – “repubblicani vs. democratici”, l’eco di ogni singolo passo è udito a chilometri di distanza.
Sicuramente la scarsa attenzione da parte della cittadinanza al grado di accountability in termini di risultati e non di presenza sui social o in televisione è uno dei fattori che semplifica la vita dei trasformisti, che a loro volta sarebbero disincentivati in uno scenario in cui i governi siano più solidi, più stabili e forti; un risultato che solo un sistema politico e una legge elettorale volti in questo senso potrebbero garantire.
Perché il sistema ne risente? Perché la democrazia scricchiola di fronte a scene come quelle che abbiamo visto nei mesi scorsi in Parlamento?
La rappresentanza senza identità sta scivolando, giorno dopo giorno, elezione dopo elezione, verso un baratro dal quale sarà complicato uscire. La rappresentanza e la politica, più in generale, sono elementi quotidiani sempre meno autentici e conseguentemente sempre più a rischio di essere strumentalizzati e usati per fini poco nobili.
Se basiamo l’intero ragionamento sull’assenza di vincolo di mandato, un diritto fondamentale e, però, fin troppo usurpato, non possiamo non citare le parole che dovrebbero sempre accompagnarlo: trasparenza, autenticità e responsabilità. Tre pilastri utili per comprendere che necessariamente può esistere davvero un trasformismo positivo, dettato dalla fedeltà dei propri valori e trasparente nei confronti degli elettori.
L’esperienza politica di Azione, il partito a cui ho aderito a Giugno 2020, parla proprio di trasformismo al contrario. Un cambio di riferimenti, ma non di idee. Un coerente e lineare stravolgimento delle carte sul tavolo, una scommessa rischiosa, ma che rifarei ancora.
Questo per dire – e mi avvio a concludere la mia riflessione – che in politica cambiare si può, è giusto ed è legittimo farlo. Lo dico senza timori e consapevole che porterò a casa anche qualche critica. Il trasformismo esiste da quando, nel mondo, si fa politica e non sarà certamente questa o la prossima classe dirigente ad abolirlo. Il passaggio di maturità che la società deve provare a fare è capire che così come gli elettori cambiano radicalmente idea in pochissimo tempo (i flussi delle ultime tornate elettorali raccontano che se ci sono trasformisti in Italia, questi sono proprio gli stessi elettori che, slegati da identità di Partito – record negativo di tessere – votano d’opinione, chi li convince di più) anche all’interno dei luoghi di rappresentanza ci possono essere mutazioni, stravolgimenti e cambi di rotta.
Viva, dunque, il trasformismo buono che anticipi il cambiamento, l’innovazione e le nuove esigenze dei cittadini, mentre ci si guardi bene da tutti i comportamenti visti in questi mesi non dai politici, ma dai Partiti e dalla politica più in generale, dal “mai con Renzi”, al “mai con il Partito di Bibbiano”, dal “prima gli italiani” fino al Governo più europeista di sempre a guida Draghi.
Capiremo tutto questo, solo se aumenterà il grado di approfondimento, di informazione, di istruzione e di cultura politica presente all’intero della società.
Non posso dirmi convinto che questo processo stia davvero iniziando, non posso dirmi soddisfatto di quello che ho visto in questi mesi, ma voglio restare positivo, lasciando per iscritto questi pensieri che parlano di istinto di sopravvivenza della Politica, che necessariamente dovrà trovare una chiave di volta per continuare a regolare i rapporti tra cittadini e società. Siamo davvero alle porte di una nuova stagione di Politica normalizzata? Lo scopriremo nei prossimi mesi.