Sostegni Bis: scritto da una mano “nuova”?

Il decreto Sostegni bis forse non è l’ennesima norma dello Stato Italiano che promuove una serie di azioni amministrative e gestionali finalizzate a sostenere la ripresa dalla depressione economica del periodo Covid. Potrebbe – dubitare dei Legislatori è sempre bene – contenere alcuni prodromi di buon auspicio tecnico che la differenzia dalle precedenti che, anziché alimentare e tenere alto il tono del lavoro, si sono limitate a tamponare e non a ravvivare.

In un contesto come il recente, infatti, non è facile il lavoro di un nuovo legislatore chiamato a gestire – tra mille strattonamenti di politica istituzionale e politica gestionale (il sindacato sembra avere ormai consolidato il proprio ruolo di aiuto nella promulgazione di norme lavoristiche) – il difficile passaggio tra il termine del divieto al licenziamento e il ritorno a una gestione imprenditoriale equilibrata e scevra da responsabilità macroeconomiche.

Il decreto sostegni è altresì una delle prime norme di carattere prettamente lavoristico del Governo Draghi e presenta alcuni punti di interesse che anche un lettore inesperto può cogliere in senso positivo.

La norma, tra altri interventi di correzione e facilitazione operativa, introduce l’agognato gateway tra il sistema di determinazione controllata dell’occupazione – quale appunto la norma sul divieto di licenziamento – e la gestione istituzionale dell’esubero attraverso due elementi sostanziali:

  • il primo è un nuovo ammortizzatore sociale chiamato cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga;
  • il secondo è un definitivo aut aut tra ricorso agli ammortizzatori sociali e possibilità di rescindere i rapporti di lavoro;

che svegliano finalmente, seppure con la tranquillità tipica di un Paese che del compromesso sta facendo la sua bandiera, dal torpore in cui una serie di misure miopi (e isteriche per modalità) ci avevano abituato.

Il nuovo strumento ha caratteristiche tali da poter essere definito un degno ritorno alla cassa integrazione guadagni come “utensile” di sviluppo e non come ammennicolo da tutti criticato ma fortemente ricercato quale lenitivo di questioni da risolvere.

Per la prima volta si leggono elementi esperienziali ed è chiaro il tentativo di fornire uno strumento trasparente e concesso – unitamente ai tanti denari che lo stato impiega per lo stesso – solo per quello che serve e quando serve.

La norma infatti interviene in modo rigoroso su alcune pessime abitudini che sono state adottate nella gestione della cassa integrazione degli ultimi anni che mettono in luce quanto il meccanismo dell’ammortizzatore sociale sia stato utilizzato in modo distorto: il ricorso alla CIG, infatti, è spesso accompagnato da importi riconosciuti dal datore di lavoro per aumentare l’introito mensile del lavoratore e ciò frutto di accordi sindacali ad hoc o, peggio, di accordi cosiddetti di secondo livello che fissano superminimi collettivi (in spregio a protocolli e accordi interconfederali sottoscritti negli anni) e che già prevedono che questi danari siano dovuti anche in caso di ricorso agli ammortizzatori sociali. Quanto precede è ovviamente contrario allo spirito stesso del ricorso all’ammortizzatore sociale che presuppone il finanziamento dell’indennità riconosciuta ai lavoratori come intervento sostitutivo della retribuzione a patto che il datore di lavoro non sia in grado – per fatti concomitanti – di corrisponderla.

Bene, per scongiurare quanto sopra, il Decreto Sostegni prevede che la misura dell’integrazione salariale spettante sia pari al 70 per cento della retribuzione complessiva che sarebbe stata corrisposta per le ore di lavoro non prestate, senza alcun massimale ma ridotta di qualsiasi altra voce determinata per effetto di accordi collettivi relativi la gestione del personale.

La richiesta di intervento della Cassa Integrazione, inoltre, dovrà essere preventiva alla sospensione dei lavoratori: previsione di esperienza visto l’invalsa abitudine di stipulare accordi ben oltre le ritualità connesse agli obblighi formali previsti dalla normativa istituzionale.

Altra novità, peraltro del tutto coerente con il proposito di fornire uno strumento vivo e di vivida utilità nello sviluppo organizzativo è la previsione per la quale la Cassa Integrazione possa solo ridurre, e non sostituire in toto la prestazione del lavoratore, limitando l’intervento al 70% dell’orario di lavoro: se è vero che di graduale ripresa si parla, questa non potrà essere attuata attraverso la sospensione totale del lavoratore, circostanza questa ora procedibile attraverso il licenziamento.

Non solo, pare che il Legislatore del Decreto Sostegni, sia giurista preparato non solo nella gestione del contingente ma sia osservatore attento di tutta la normativa nella declinazione pratica della stessa:

  • si avvede dell’incoerenza dell’applicazione dell’agevolazione relativa al mancato pagamento del contributo che il datore di lavoro deve corrispondere all’Inps in caso ricorso agli ammortizzatori sociali emergenziali e non a quelli istituzionali, che pure possono essere utilizzati per superare la crisi e la estende a quest’ultimi;
  • aumenta il limite di non assoggettabilità dell’erogazione liberale che ora, consistente in € 500 mensili, può appetibilmente essere utilizzato per la costruzione di un progetto di welfare aziendale dotato di strumenti innovativi e di limitato costo per l’azienda.

Il decreto sostegni bis sarà quindi “il primo pezzo” di un Legislatore attento alle circostanze e votato allo sviluppo?

Ce lo si augura guardando un panorama legislativo fatto di ottime idee e intuizioni, ma spesso rovinato da un’applicazione strumentale e spesso incoerente frutto degli interessi politici di Governi che hanno fatto del Lavoro un’opportunità politica e senza quell’ordine e quel rigore di cui avremmo tanto bisogno.

di Massimiliano Arlati, ArlatiGhislandi – AG Studi & Ricerche