Il destino è scritto nel suo nome: Ucraina. Significa proprio terra di confine, luogo deputato a svolgere la funzione della separazione, limite oltre il quale le cose sono diverse rispetto a quelle che accadono al di qua.
La posizione geografica ne qualifica la funzione e ne determina la storia: l’Ucraina, nel corso dei secoli, è entrata e uscita dalla sfera d’influenza russa più volte. Nell’Ottocento e nel Novecento è stata parte integrante sia dell’impero zarista sia di quello comunista, trovando la propria indipendenza nel 1991, nel momento del disfacimento delle repubbliche socialiste sovietiche.
La già rilevante posizione geostrategica dell’Ucraina ha assunto oggi ancor maggiore importanza. La cortina di ferro che proteggeva Mosca e il Cremlino sul fianco occidentale negli ultimi trent’anni è slittata in modo preoccupante verso est: le Repubbliche Baltiche a nord, la Polonia, la (ex) (Ceco-) Slovacchia e l’Ungheria al Centro, la Romania e la Bulgaria a Sud, sono state risucchiate nella sfera d’influenza europea e, anziché confinare col mondo occidentale sul loro versante Ovest, confinano col mondo russo su quello Est. Ucraina e Bielorussia fungono da cuscinetti. Il nostro focus di oggi è sulla prima.
Le iniziative di Biden e la sua stretta alleanza con il Presidente ucraino Zelensky stanno edificando nella “terra di confine” il “nuovo muro di Berlino”, che dovrebbe delimitare l’area NATO, al di là della quale sospingere la Russia: le odierne richieste di Kiev per un’accelerazione del processo di adesione al Patto Atlantico (attraverso Membership Action Plan) suonano come aperta sfida a Mosca, cui viene di fatto intimato l’abbandono del suolo ucraino.
Non sarà semplice né indolore.
Il fronte caldo è quello a est, dove un’ampia area (Donbass) – ricca di miniere di carbone un tempo a servizio dell’URSS – è nelle mani (armate da Mosca) dei combattenti nati in Ucraina ma di origine russa, che hanno proclamato la Repubblica Popolare di Donetsk, sottraendosi al controllo del governo di Kiev. Più a nord del paese, il contagio filorusso ha assunto le sembianze di un’altra auto-proclamata area d’indipendenza, la Repubblica Popolare di Lugansk, altro fronte cui l’esercito ucraino dovrà dedicarsi con sempre maggiore intensità.
Ma anche aree meno coinvolte nella lotta armata, a Ovest/Nord Ovest del paese, sono parte di un paradosso etnico-linguistico che solo le bizzarrie della Storia potevano creare: zone russofone ma convintamente nazionaliste, territori ucrainofoni ma ambiguamente e confusamente schierati con l’una o l’altra fazione.
L’area Sud del Paese è, invece, in prevalenza di lingua russa, mentre l’estrema appendice Sud che s’insinua nel Mar Nero – la Crimea della mitica Sebastopoli – è stata annessa alla Russia senza troppi complimenti nel 2014, annessione poi legittimata da un referendum dall’esito pro Russia al 95%. La penisola di Crimea è avamposto indispensabile per accedere dal freddo Mar Nero ai mari “caldi” ed agli oceani, attraverso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Sul versante Est della penisola di Crimea – attraverso il pertugio dello stretto di Kerch di decisiva valenza strategica – si accede al Mare d’Azov, base navale e bacino di carenaggio naturale per le unità della flotta russa, che può riparare sino a Rostov, sulla foce del Don.
La Crimea è anche connessa al Caucaso russo (territorio di Krasnodar) dal ponte doppio (stradale e ferroviario) costruito dalla Federazione Russa a completamento di un’operazione geo-strategica di fondamentale rilievo. Il quadro dello scacchiere si completa dando un’occhiata ai Paesi rivieraschi del Mar Nero: in senso anti-orario troviamo Moldavia, Romania, Bulgaria, Turchia, Georgia ed il Caucaso russo, che chiude il cerchio. La Russia non può fare a meno dell’Ucraina – il cuscinetto naturale che la distanzia dall’Europa e dalla NATO – e della Crimea, il vitale accesso al mare che permette alla flotta russa di dare senso alla propria esistenza.
Le relazioni fra gli Stati Uniti di Biden e la Federazione Russa sono subito entrate in fase acuta con l’uscita provocatoria e denigratoria del nuovo inquilino della Casa Bianca (“Putin è un assassino”). Non che con Trump le cose andassero molto meglio (anche con lui la Russia era “osservata speciale”) ma vigeva un codice di reciproco rispetto personale che Biden ha stracciato, deteriorando l’aspetto retorico/dialettico della storica rivalità.
Biden ha voluto rompere gli equilibri costruiti dal suo predecessore (non solo qui ma anche in Medioriente e Corea del Nord), certificando il ritorno degli USA a una politica imperiale, assertiva, minacciosa, indisponibile a soluzioni di compromesso sugli scenari ritenuti prioritari, fra i quali l’Ucraina. Egli non intende riconoscere lo status quo creato dall’annessione della Crimea del 2014, proponendosi come tutore del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Non è un caso che, dopo la provocazione verbosa di cui si è reso protagonista il Presidente USA e le ovvie reazioni ufficiali, la questione si sia subito spostata fra le acque fredde del Mar Nero, dove incrociano navi militari russe e USA, “annusandosi” a distanza ravvicinata. Il cacciatorpediniere missilistico (di classe Arleigh Burke) della Marina degli Stati Uniti USS Donald Cook ha fatto ingresso nelle acque del Mar Nero e potrebbe centrare la scrivania di Putin in qualsiasi momento.
Dopo aver provocato con l’insulto, Joe Biden mostra anche la pistola. Sul fronte interno, egli vuole distinguersi dal predecessore Trump e intende accreditare la narrazione secondo la quale quest’ultimo è amico del nemico storico degli USA, col quale ha tramato per sabotare le elezioni presidenziali 2020. Il Presidente democratico, inoltre, è alla ricerca di un obiettivo esterno su cui rovesciare il malessere interno che attanaglia il Paese, tuttora scosso e diviso dagli accadimenti post-elettorali. L’occasione è propizia per presentare agli americani il nuovo “cattivo” di cui diffidare, l’assassino “senz’anima”, identikit appetibile in modo trasversale nell’opinione pubblica.
Biden ha anche come obiettivo tattico quello di ricompattare l’Unione Europea in funzione anti-russa. Washington è intenta a costruire un’alleanza anti-cinese che però non dimentichi la pericolosità della Russia (e anche dei suoi vaccini…). Tollera poco o niente i rapporti fra i suoi satelliti europei ed i suoi rivali di sempre, dal gasdotto russo-tedesco North Stream 2 ai legami economici siglati con l’accordo sugli investimenti fra Pechino e Berlino per interposta Unione Europea.
Gli Stati Uniti vivono un’asimmetria strategica non semplice da gestire: hanno di fronte a sé due potenze imperiali da sfidare su campi di battaglia (in parte) diversi e stanno demonizzando sia Mosca sia Pechino, quest’ultima accusata di genocidio degli Uiguri.
I campi di battaglia si vanno delineando: Mar Cinese Meridionale per la sfida a Pechino, Ucraina – il nuovo “muro di Berlino” – per la sfida a Mosca.