Tra le misure che sono state adottate dal Legislatore per contingentare gli effetti della pandemia da Covid vi è certamente il blocco dei licenziamenti, ora reiterato sino al prossimo 31.10.2021. Palese e condivisibile l’obiettivo di evitare l’innesco di pericolose ripercussioni sociali che avrebbero potuto sovrapporsi all’emergenza economica e quindi portare nocumento alle prospettive di rilancio.
Il tentativo di “congelare” la situazione occupazionale non è stato effettuato solo attraverso la sottrazione della possibilità di rescindere i rapporti, ma anche attraverso una maggiore apertura verso la continuità del rapporto a tempo determinato con provvedimenti che, seppur della prima ora, sono forse sfuggiti per minor impatto mediatico.
Il cd “Decreto Sostegni” ha previsto – attraverso una riformulazione del precedente “Decreto Rilancio” – la proroga di un regime di deroga straordinaria alle previsioni del cd “Decreto Dignità” che aveva posto i vigenti rigorosi vincoli ai contratti a termine.
Le maglie flessibili del Legislatore riguardano in sostanza la facoltà concessa al Datore di Lavoro (sino al 31 dicembre 2021) di prorogare i contratti a termine più liberamente e in modo continuativo per periodo di ulteriori 12 mesi senza che ricorrano le condizioni qualitative e quantitative connesse all’ordinarietà della gestione del rapporto.
Durante il periodo Covid quindi la gestione del rapporto di lavoro a tempo determinato è diventata un po’ più flessibile … ma forse non abbastanza: rimangono in ogni caso i ferrei vincoli che per certi versi hanno bloccato lo sviluppo delle imprese osteggiando tale tipologia contrattuale.
Bene ricordare che il contratto a termine, dopo una parziale (quanto forse inaspettata) facilitazione consentita dalle norme del jobs act è stato oggetto di una rigida e maldestra “reclusione” dal successivo anno 2018 (momento in cui il cd Decreto Dignità non solo ne ha compresso l’utilizzo ma di fatto ha costituito un freno alla progettualità aziendale). Bene inteso, è necessario e del tutto condivisibile porre una regolamentazione al rapporto a termine e trovare limiti che lo inquadrino in un contesto di coerenza rispetto all’apparato normativo italiano. Le condizioni attuali di “segregazione” sono di fatto ostative allo sviluppo di un sistema imprenditoriale che ora più che mai necessita di progettualità e di flessibilità.
Come non sentire limitante il mancato ricorso al lavoro a termine in una start-up in cui è necessario investire in risorse che supportino e corroborino l’azienda nel suo ciclo vitale? E ancora, nel settore del turismo dove la ricerca di servizi accessori, alternativi e collaterali che consolidino la proposta necessita di un bacino di risorse specializzate che conoscano le strutture e le aziende? Per non parlare della transizione digitale: che dire di una delle più importanti chance che il Paese sta perseguendo senza un sistema contrattuale adeguato votato in primis al progetto? Come sono compatibili gli obiettivi di ripresa e crescita con una normativa che limita con una percentuale fissa lavoro temporaneo e a tempo determinato o ne prevede una odiosa quanto “dispettosa” interruzione, peraltro di periodo così contenuto da non dissuadere il Datore di Lavoro alla ripetizione del contratto?
In un Paese in cui la fantasia e la genialità non mancano, e vieppiù hanno rappresentato uno dei driver di superamento della crisi degli anni scorsi, forse il Legislatore dovrebbe prendere spunto per una rivisitazione della norma che parta proprio dalle misure estensive che durante l’emergenza sono state introdotte quale opportunità di mantenimento e crescita dell’occupazione.
di Massimiliano Arlati, ArlatiGhislandi – AG Studi & Ricerche