Ormai da più di un anno siamo chiamati a interpretare una disciplina legislativa “emergenziale” che pare tanto frastagliata quanto caotica. In verità, la possibilità di programmare è il vero sostegno che si può dare al Paese, al contrario, il contesto pandemico ha costretto il precedente Governo – a lungo dimostratosi sorpreso dagli eventi – a produrre un susseguirsi di concitati decreti per ridurre gli effetti di una crisi che è entrata, come il ben noto virus, anche nel tessuto sistemico del Lavoro italiano.
Tanta “ricchezza” legislativa, ha inevitabilmente interessato i diversi aspetti della nostra vita durante il periodo COVID e certamente per molta parte ha coinvolto il mondo del lavoro, quasi a ricordare a tutti l’importanza nevralgica di un “sistema” che non può funzionare da solo ma che, al contrario, deve essere alimentato e rinnovato costantemente.
A questo stretto riguardo il precedente Governo, ad onor del vero, ha dimostrato di conoscere le norme dell’ordinamento lavoristico utilizzandole con qualche veloce modifica per affrontare l’emergenza occupazionale derivata dalla crisi epidemiologica, ma ha commesso l’errore di non occuparsi della proceduralizzazione e della prassi, non arguendo che il sottodimensionamento (già preesistente) delle strutture informatiche e del sistema burocratico sarebbe stato di tutto ostacolo al rilascio dei “ristori”.
Sin dall’inizio dell’emergenza epidemiologica, infatti, le imprese si sono trovate ad affrontare una situazione al limite del paradossale potendosi avvalere solo di strumenti che certamente non erano stati “pensati” per la gestione massiva delle provvidenze statali, fossero questi ammortizzatori sociali o congedi finanziati per rispondere alla chiusura delle scuole.
Vieppiù, alla poca dimestichezza del Governo si è aggiunto un atteggiamento altrettanto passivo di enti ed istituzioni che non hanno reagito celermente ma, al contrario, si sono limitati ad eseguire pedissequamente la routine senza trovare soluzioni che avrebbero fluidificato il processo.
Che dire delle Regioni, chiamate con furia ad un’inutile fase istruttoria degli ammortizzatori sociali, senza risorse nè competenze, costrette a riattivare vetusti portali web che sopivano in qualche backup dai tempi della vecchia cassa integrazione in deroga di un decennio fa? Che dire dell’ INPS, che ha utilizzato le proprie preesistenti (e già scarse) risorse informatiche costituendo apposite “task force” con operatori che nulla avevano mai avuto a che fare con CIG, CIGD e FIS?
Nella migliore delle tradizioni italiane sono stati inoltre introdotti strumenti di welfare sociale per consentire congedi “COVID”: le assenze giustificate per i lavoratori fragili e per i genitori con figli in DAD, non ultimo un massiccio utilizzo dello smartworking, la cui normativa – ancora immatura – non è stata risparmiata da una connotazione burocratica che ha prodotto difficoltà e inutili rigidità.
In questo panorama a tinte fosche, che ha confermato la dipendenza del nostro Paese da una spesso inutile burocrazia, il datore di lavoro ne è uscito con “presente brillantezza”, dimostrando in ogni caso la propria capacità adattiva. Ha sopperito ad un incremento delle attività amministrative con rassegnata pazienza, ha gestito il proprio personale con la flessibilità richiesta dalla situazione, si è adeguato alla moltitudine di contraddizioni delle norme con la loro regolamentazione tutt’altro che precisa e coerente.
Ma non è storia nuova: il datore di lavoro italiano, che tra molte pecche non si può certo dire che difetti di tenacia e motivazione, è ancora il medesimo che ha condotto una strenua resistenza durante la crisi degli anni scorsi combattendo con una normativa spesso avversa ed un associativismo lacunoso e spesso inefficiente.
Viene da chiedersi: come potrà essere ripagato il datore di lavoro da un nuovo Governo che ha (purtroppo) una pesante eredità da superare ma dal quale ci si attende molto?
Una cosa sola: la possibilità di programmare.
Sembra poco … ma la possibilità di riappropriarsi della gestione delle proprie attività con visione prospettica è il “plasma” del “fare azienda”. La visione a medio-lungo termine è il carburante con cui poter produrre le idee, con cui realizzare i progetti ed evolverli sino a idearne di nuovi.
Ora, prescindendo dalla dilagante daltonia dovuta alle vicissitudini sanitarie, le norme lavoristiche necessitano competenze assolute, fusione di principi e di operatività, di una capacità propulsiva per le aziende che consenta di poter programmare il rilancio e il futuro di un’economia solida. Per adesso stiamo aspettando tutti ancora attoniti… marzo sta terminando: cosa succederà in aprile?
di Massimiliano Arlati, ArlatiGhislandi – AG Studi & Ricerche