Il nuovo decreto, il primo in materia lavoristica del Governo Draghi, non contiene una nuova CIG per la ripresa economica, al contrario, conferma gli strumenti di contingentamento della crisi utilizzati dai suoi predecessori. Di certo non avrebbe potuto fare altro in questa fase, dichiaratamente di studio di nuove misure di riordino e sviluppo di un sistema, quello lavoristico, che da tempo difetta di elementi di reale innovazione.
Di certo ne avremmo un gran bisogno ora, in un periodo in cui – ancora in una contingenza negativa – si sono trovati coincidenti le criticità di un mondo del lavoro in disperata ricerca di innovazione. Serve uno strumento circolare, che aiuti le aziende nella gestione delle risorse in modo attivo e virtuoso, che diriga la ripresa verso percorso modulare ma comunque caratterizzato da un’ampia visibilità.
Facciamo un gioco.
Proviamo a disegnare uno strumento ottimale, che al contempo consenta al datore di lavoro di disfarsi delle risorse che non riesce più a occupare con profitto e contemporaneamente non intacchi il tessuto sociale dei lavoratori vieppiù senza gravare su di un sistema pensionistico che pensavamo guarito, in realtà dimostratosi solo “medicato”.
Ma sì… uno strumento virtuoso che consenta al datore di lavoro di non perdere il know how presente nelle aziende (variabile subdola, che rimane all’inizio sopita ma che poi esplode lasciando conseguenze difficili da gestire) ma che permetta allo stesso tempo l’acquisizione di nozioni e professionalità nuove ed adeguate per uno sviluppo innovativo dell’impresa, dotata di lavoratori capaci di competere ad ogni livello.
E ancora uno strumento che espella le sacche (e i lavoratori) inefficienti e premi quelli che vogliono crescere e cambiare lavorando, con nuovi schemi e senza eredità scomode.
È però strano che il Legislatore non abbia mai pensato a tale strumento nonostante tutti questi anni di produzione lavoristica in cui la reale possibilità legislativa non è certo mancata.
E se questi elementi li avessimo già a disposizione? Se fossero solo ammantati di malagestione e da anni di ruggine che ne impediscono un utilizzo virtuoso, capace di favorire non solo la ripresa ma anche l’occupazione? E se fosse che questo strumento l’abbiamo sempre avuto (dal 1991 sicuramente, ma in realtà anche prima) e non ce ne fossimo mai accorti?
Beh… esiste in Italia uno strumento “positivo” che accomuna gli intenti e si fonda sulla sostenibilità di un modello compartecipativo. Uno strumento progettuale con un termine definito, fondato sul presupposto sostanziale della continuità aziendale in chiave evolutiva, che finanzia i Datori di Lavoro contribuendo agli investimenti di consolidamento o di sviluppo.
Con questo strumento è possibile contenere il costo del lavoro, formare o riqualificare le risorse (preservando il know how delle stesse) ed aggiungere cultura d’impresa.
Ci si riferisce a quegli strumenti che, da sempre venduti con un pessimo marketing lessicale, il legislatore ha definito come “ammortizzatori sociali”. Questi sono sempre (o quasi) stati interpretati nel loro lato oscuro (evitare il licenziamento) anziché nella loro visione positiva (razionalizzare, rendere razionale e sviluppare l’azienda).
E’ necessaria una rivisitazione dello strumento, con una decisa virata verso una sua dimensione più progettuale, con una maggiore connotazione sul risultato finale e un minore afflato assistenzialistico che, sinora, non ne ha consentito un reale utilizzo. Forse è necessario il ritorno ad una struttura formativa della gestione delle risorse durante la realizzazione dei progetti, oggi realizzati mediante un altro strumento, il fondo Nuove Competenze, che non consente flessibilità e potenzialità necessarie nel medio lungo periodo.
Ora, un nuovo Governo con la missione e l’obiettivo del rilancio, che concepisce il “sistema lavoro” quale fonte primaria di alimentazione dell’economia, è capace di ripensare alla Cassa Integrazione Guadagni in modo evolutivo ?
di Massimiliano Arlati, ArlatiGhislandi – AG Studi & Ricerche