USA-Cina: il confronto si gioca sul mare!

Sottomarini cinesi (Ammiraglio Giuseppe De Giorgi)

Da anni l’opinione pubblica europea è convinta che la Cina sia destinata a soppiantare la leadership americana, che sia prossima a dominare il mondo, che l’Impero a stelle e strisce sia in rapida decadenza, che la Cina – detenendo gran parte del debito pubblico statunitense – sia in grado di controllare e soggiogare l’avversario, imponendosi come potenza dominante. Quante volte ci è capitato di sentire questo tipo di considerazioni, quante conversazioni si chiudono con questa sentenza!

Si tratta di un’opinione distorta dalla logica economicistica, molto distante dalla realtà: non è la sola crescita del prodotto interno lordo che consente a un soggetto internazionale di trasformarsi in egemone, serve ben altro!

L’America non è destinata alla rovina perché la Cina è detentrice di una buona parte del suo immenso debito pubblico e neppure a causa dell’altrettanto gigantesco deficit commerciale, chi lo afferma non considera che proprio tali grandezze sanciscono che gli USA sono il fulcro del sistema, che si regge sul dollaro, vera ed unica valuta che regola i mercati.

Ciò non toglie che la Cina abbia una propria strategia, che mira a conseguire l’egemonia sul Pianeta entro il 2049, quando ricorrerà il centesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese.

Tale strategia è prevalentemente orientata alla conquista del mare, vero campo di battaglia sul quale il “dragone” dovrà confrontarsi con gli USA, impero talassocratico per eccellenza: è il dominio dei mari che determina la supremazia globale, è attraverso il controllo degli oceani, delle rotte, degli stretti, delle isole strategiche che si realizza l’affermazione del primato.

Non è un caso – sia detto incidentalmente – che entrambi i contendenti vedano la maggiore concentrazione delle proprie ricchezze nelle aree rivierasche: le due zone costiere degli States e le più sviluppate città cinesi si affacciano sui rispettivi mari, fonti di guadagno per i traffici commerciali e basi di partenza del dominio militare.

Proprio di fronte alla lunga e frastagliata costa cinese (14.000 chilometri!) si colloca lo scenario dell’odierno confronto, estremamente complesso e straordinariamente affascinante.

Il teatro è il Mar Cinese Meridionale, delimitato a nord dalle coste cinesi, a nord-est dall’Isola di Taiwan (Repubblica di Cina), a est dalle Filippine, a sud dal Borneo, a ovest dalla punta di Singapore e dalle isole indonesiane di Java e Sumatra, con Tailandia, Cambogia, Vietnam e Laos spettatori interessati sul versante nord-occidentale di questo inedito “Mediterraneo asiatico”.

Il gioco è quello del gatto col topo: la marina statunitense (con i suoi alleati) nella veste del felino, che presidia la tana del roditore, che è alla spasmodica ricerca di una via di fuga verso l’Oceano Pacifico, “autostrada” verso le coste occidentali delle Americhe.

Gli “stretti” e le isole assumono rilevanza decisiva nel Risiko del Mar Cinese Meridionale e nella tattica del soffocamento.

Lo stretto di Taiwan: la Repubblica Popolare Cinese, per perseguire la strategia di dominio del mare, ha assoluto bisogno di passare liberamente dallo stretto di Taiwan (Repubblica di Cina), storica nemica della rivoluzione e stretta alleata degli USA. Da lì non si passa, se non conquistando l’sola dei nazionalisti cinesi, ostile a Pechino come di più non potrebbe essere. Taipei è tecnologicamente armata da Washington e si è dotata dei più sofisticati sistemi difensivi, adottando la strategia definita “del porcospino”: munirsi di molti aculei per rendere il costo di un attacco nemico talmente alto da scoraggiarlo.

Più a sud, in senso orario, il Canale di Bashi (solo 156 km di larghezza), fra Taiwan e l’arcipelago delle Filippine, è presidiato dalle basi navali USA, grazie a stabili accordi fra Manila e Washington per l’accesso della USS Navy presso le infrastrutture logistiche e portuali dell’arcipelago. Neanche da lì si passa.

Nel cuore del Mar Cinese Meridionale “galleggiano” le contestatissime Isole Paracelso, le Isole Spratly e Scarbourough Shoal (le prime due prevalentemente costituite da atolli che affiorano poco sopra il pelo dell’acqua, le terze addirittura delle “secche”).

Tutte contese fra i vari attori dell’intricato scacchiere ma furbescamente attratte dalla Cina che ne ha trasformate alcune in basi militari, esse sono oggetto di pretese incrociate, più o meno seriamente avanzate presso organismi internazionali.

La Repubblica Popolare Cinese vorrebbe estendere le proprie acque territoriali in tutto il “Mediterraneo Asiatico” per inglobare i luoghi d’interesse per il posizionamento dei propri sistemi difensivi e missilistici. Non manca nulla dell’armamentario di una guerra in piena regola, fittissima rete di spionaggio e controspionaggio e strabiliante concentrazione di naviglio militare: basti dire che, all’inizio di aprile 2021,sono state avvistate 200 navi, ritenute appartenenti alla milizia cinese, talune camuffate da pescherecci, nella zona della barriera corallina di Pentecoste: erano ormeggiate all’interno della EEZ (Economic Exclusion Zone) filippina (come definita dalla ICC, International Court of Arbitration) nell’arcipelago delle Spratly, il cui territorio è rivendicato da Brunei, Cina, Malesia, Filippine, Taiwan e Vietnam.

La Marina cinese, quasi inesistente sino a pochi anni fa, ha varato nel 2017 la sua seconda portaerei (Shandong), la prima di realizzazione autoctona. Ha cominciato la costruzione di un terzo esemplare e portato a circa trecento le navi da guerra a disposizione. Restando comunque distante dagli Stati Uniti e incapace perfino di controllare i mari rivieraschi, su cui mediamente viaggia il 90% del suo export e l’80% degli idrocarburi che consuma.

Gli USA giocano in trasferta ma si sono assicurati alleanze locali tali da rendere quasi impossibile la realizzazione delle strategie di Pechino: il Giappone, pur trovandosi all’esterno del “Mediterraneo Asiatico” è fedele sentinella nell’Indo-Pacifico e manovra costantemente nella zona, sostenendo il lavoro della USS Navy con la propria Kaijō Jieitai (Japan Maritime Self Defence Force – Forza marittima di autodifesa del Giappone).

USA, Giappone, India e Australia si sono strette nell’alleanza denominata Quad (Quadrilatero di Sicurezza), nata proprio per limitare l’espansione della strategia marittima della Cina e la crescente assertività di Pechino rispetto alle rivendicazioni territoriali e marittime.

La Cina è praticamente sola perché è temuta da chi la circonda e gli USA hanno colto l’occasione per allearsi con chi la teme, logica aurea della strategia geopolitica: se temi una potenza che ti sta (geograficamente) vicina, devi allearti con la sua antagonista che sta (geograficamente) lontana, avrai poco da perdere e tutto da guadagnare…se fai la scelta opposta, hai già perso!

La polveriera si arricchisce sempre più di nuovo materiale esplosivo: sono confluite nel teatro anche le forze navali francesi, australiane, indiane e canadesi e perfino la Marina Italiana è stata invitata a partecipare!

L’intensità del dispiegamento di forze è solo un gradino al di sotto di quello della guerra aperta e il traffico è quello dell’ora di punta: al naviglio militare si somma quello commerciale – di cruciale importanza per l’economia cinese – che, per navigare verso l’Oceano Indiano, deve transitare dallo stretto di Malacca (non c’è altra via!), fra l’isola indonesiana di Sumatra, la penisola malese e Singapore.

Dunque, se le rotte verso est sono precluse, quelle verso ovest non sono certo agevoli: il gatto presidia attentamente anche quelle!

L’obiettivo del sorpasso sui mari e del dominio del Pianeta è lontanissimo e la Repubblica Popolare ne è consapevole (infatti coltiva anche i percorsi terrestri, le “vie della seta”).

Assai meno lo sono le opinioni pubbliche occidentali, quella europea in particolare, irretite dalla narrazione del “debito pubblico americano nelle mani cinesi” e dall’illusione di trovare a Pechino un’alternativa a Washington (o, se preferite, trovare a Shanghai un’alternativa a New York).

Ci ha provato la Merkel, tramite la controllata Unione Europea, e ha dovuto desistere (congelamento degli accordi commerciali con la Cina dopo sette anni di negoziato).

A ben guardare, ci ha provato perfino Conte…e sembra che non gli sia andata meglio.