Borghesia: la vittima principale del Covid

Dal 2000 al 2020 il ceto medio è passato dal rappresentare il 70% della popolazione al 27%. Anche in Italia i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri aumentano di numero e diventano sempre più poveri. Per sua natura, quella che un tempo si chiamava borghesia, è sempre stata capace di trovare la sintesi tra ricchi e poveri, colti e poco istruiti, tra élite e popolo. Oggi la vittima principale del Covid è la borghesia, la sua scomparsa è un grave problema, sociale e politico. 

Sommersi dal quotidiano, dai problemi che la pandemia sta creando alle persone sul piano della salute, dall’economia e dalla tenuta psichica, questa notizia è quasi passata inosservata: pochi giornali l’hanno riportata con la giusta enfasi. Non l’ho vista sui social né ho letto commenti di analisti, eppure non credo che vada banalizzata, soprattutto perché la drammatica riduzione del peso del ceto medio ha serie implicazioni in tutti gli ambiti della nostra società.

Il fatto

Il 17 marzo al CNEL (abolito dal governo Renzi come ente inutile per eccellenza, poi italianamente resuscitato) è stato presentato il rapporto Ipsos Flair 2021 “La danza immobile di un paese al bivio”. La ricerca si basa su un campione di 1.000 persone che rappresentano la società italiana e vuole indagare la percezione, i cambiamenti e le aspettative su alcuni temi significativi: dalla scuola ai giovani, dalla famiglia alla salute, dall’ambiente all’e-commerce e così via. Nella ricerca la società italiana è articolata (a livello economico) come segue:

  • il 4% del campione si colloca nel ceto alto o medio alto (redditi adeguati a soddisfare i bisogni con possibilità di risparmio);
  • il 27% si considera ceto medio (redditi adeguati a soddisfare i bisogni fondamentali e possibilità di affrontare spese impreviste)
  • il 52% dichiara di appartenere al ceto medio basso (può far fronte al necessario, ma non può certo sgarrare)
  •  il 14% appartiene al cosiddetto “ceto laborioso”, meraviglioso eufemismo per definire chi vive del proprio lavoro con significative difficoltà
  • Il 3% al ceto marginale (chi ha molto meno dello stretto necessario)

Tuttavia il dato che a mio parere meglio rappresenta la drammatica situazione attuale è proprio quello relativo al ceto medio: “all’inizio del nuovo secolo si collocava nel ceto medio almeno il 70% delle persone, – recita il rapporto Ipsos – la middle class nostrana, sotto i colpi della crisi economica si è sgretolata nel corso degli ultimi venti anni, …. Il processo … ha subito un ulteriore impulso a causa del Covid: a settembre 2020 la quantità di persone che si auto-collocavano nel ceto medio era al 35% per poi crollare al 27% nel dicembre 2020. La pandemia, come è ormai chiaro a tutti, ha solo accelerato fenomeni che erano già in atto: dal 2000 al 2020 la classe media è passata dal 70% al 27% e questo fatto ci obbliga ad una reazione che va al di là delle scelte tecniche e contingenti legate al Covid. È un dramma per tanti ed è un grave problema sociale. I fattori critici che emergono dalla ricerca sono numerosissimi: la tensione sociale è salita al 73%, il 57% del campione è più spaventato dalla recessione economica che dal Covid (il 43%). Per l’89% del campione dopo la pandemia ci sarà meno lavoro e più rabbia, per l’87% meno possibilità economiche e il 65% ha sempre meno fiducia nella classe dirigente politica ed imprenditoriale, compresi i medici e gli scienziati.

È veramente miope, impreparato o forse in malafede chi non vede in questo quadro un serio problema politico.

Definiamo il ceto medio

Anche se la ricerca Ipsos Flair 2021 si basa sulla auto percezione degli intervistati, la riduzione della consistenza della classe media che è emersa, con una migrazione verso i ceti più indigenti, è un fenomeno talmente significativo che non diventa meno importante se i valori cambiano di qualche punto percentuale. Proviamo a definire cosa si intende per ceto medio.

La dimensione economica, che sembrerebbe essere quella più facile da misurare, non è definita in maniera univoca. Una delle metodologie più usate e quella proposta dall’economista americano Lester Thurow che considera appartenenti al ceto medio le famiglie che hanno un reddito compreso tra il -25% ed il + 25% del reddito mediano. In Italia, quindi, le famiglie (2,3 persone) che dispongono di un reddito netto mensile tra i 1.590 ed i 2.650 euro. (fonte: ISTAT 2017)

Tutti gli studi concordano sul fatto che l’aspetto economico, che sia il reddito o la ricchezza o una combinazione dei due, non basta a definire l’appartenenza al ceto medio. In altre parole se nel 2000 il 70% degli italiani dichiarava che per tipo di occupazione, collocazione sociale, titolo di studio, qualità e livello delle relazioni, redditi adeguati e possibilità di affrontare imprevisti faceva parte della classe media, a dicembre del 2021 la quota si era drammaticamente ridotta al 27%, molto meno della metà. 

Considerazioni

Il ceto medio è nato da un lungo processo di articolazione della società caratterizzato dalla riduzione delle disuguaglianze. Proprio per quel suo essere “medio”, tra la classe dominante ed i più disagiati, dovrebbe rappresentare la maggioranza delle persone, quindi un’ elevata percentuale di appartenenza a questo gruppo è un buon indicatore di benessere e democrazia. La sua numerosità consente un efficace funzionamento dell’ascensore sociale, mentre nelle condizioni in cui si trova l’Italia del 2021 la crescita economica degli individui sembra essere attiva solo per chi è collocato nelle fasce alte. Per gli altri c’è soltanto la prospettiva di un costante smottamento verso il basso.

L’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre 20101, la crisi finanziaria del 2007 ed il Covid sono stati i tre fatti che hanno messo in evidenza la fragilità del modello di società che abbiamo costruito alla fine del secolo scorso: da una parte l’indiscriminata deregulation, dall’altra una globalizzazione sfrenata.

Chi ne è stato enormemente avvantaggiato è il capitale finanziario, egoista e predatorio.

Chi ne ha pagato il conto è stata proprio la classe media.

La crescita smodata del capitalismo finanziario globale ha portato ad una visione tecnocratica del mondo: i tecnici non rappresentano le persone, non sanno necessariamente cosa sia bene per la maggioranza di noi, non sono difensori di valori se non quelli della loro stessa comunità.

Usciremo da questo bivio solo se riusciremo a riportare al centro la politica, quella vera, quella che cerca le risposte ai problemi di oggi e disegna la società di domani, una politica che sappia usare la tecnica, ma non ne sia condizionata.

Oggi la politica sa solo parlare di chiusure e vaccini. Dobbiamo superare paura, rabbia, delusione, tristezza. Dobbiamo partecipare in maniera attiva alla vita politica, non bastano i like sui social, non basta il voto. Dobbiamo agire politicamente.