Non siamo un interruttore!

Una doverosa premessa, che non mi stancherò mai di fare: la salute e la sicurezza prima di tutto.

È assolutamente fondamentale e condiviso da tutti che il Governo metta in campo tutte le azioni necessarie e possibili per contenere il diffondersi del COVID-19 e debellarlo il prima possibile.

Ma quali sono queste azioni e come è possibile farle conciliare con le necessità economiche di una Nazione?

E soprattutto, quali sono gli errori che sarebbe meglio non commettere in questo delicato periodo?

Ristoranti, pub, hotel e ora impianti sciistici sono in ostaggio dell’ordinanza dell’ultimo secondo, una pallina che gira sulla roulette e può cadere sul rosso o sul nero, sul via libera all’apertura oppure sull’ennesimo periodo di chiusura.

Forse non è ben chiaro al croupier che lancia questa pallina come le attività si preparano alle aperture, il lavoro che c’è dietro, le persone, le famiglie.

Un ristorante, a titolo di esempio, va pulito e sanificato dopo una chiusura, bisogna ordinare la merce, attendere la consegna e in molti casi andare ai mercati generali a rifornirsi, preparare la cosiddetta “linea”, ossia i sughi, le paste fresche, le lunghe cotture, le basi della pasticceria, ripulire tutto e prepararsi col sorriso all’arrivo dei clienti.

Per la chiusura il percorso è inverso: va via il sorriso e scende la tristezza e la disperazione, per lo spettro della cassa integrazione che non arriva, per i ristori insufficienti e mai chiari e per l’incertezza da riportare alla famiglia. Poi si pulisce il ristorante, si svuotano le celle frigorifere, si cerca di donare il cibo avanzato a qualche associazione che aiuta chi sta anche peggio, si buttano i prodotti che scadranno, si chiude il gas, la luce e si va via, senza sapere quando tornare.

In Lombardia, così come in tante regioni, questo balletto è stato messo in scena a fine ottobre con l’entrata in zona arancione, poi l’apertura a dicembre per una decina di giorni fino alla chiusura per il periodo natalizio, poi ancora la beffa della zona gialla per un paio di giorni dopo l’Epifania, per tornare arancioni fino a fine gennaio. E adesso?

Aspettiamo il nuovo responso sull’andamento della situazione sanitaria e intanto i gatti delle nevi si sono accesi, hanno macinato chilometri e chilometri per preparare le piste da sci di tutta Italia, sono stati oliati e testati gli ingranaggi delle funivie, ripulite le seggiovie, riempite le baite, si sono accesi i camini.

Inutilmente.

A poche ore dall’annunciata apertura, marcia indietro e di nuovo tutti a casa.

Tutto quello che ho descritto per un ristorante e quello che ho accennato per gli impianti sciistici, costa fatica, molto lavoro, persone, e soprattutto molti soldi.

Si stima che nel solo mese di dicembre le perdite dovute alla merce deperita a causa delle chiusure ammonti a poco meno di 6000€ a punto vendita, che moltiplicati per i quasi 350.000 pubblici esercizi presenti in Italia fanno quasi 2 miliardi di euro.

Va sempre e comunque ribadita la premessa: la salute prima di tutto e nessuno (salvo qualche sconsiderato riottoso) ha mai chiesto di aprire in condizioni non adeguate, ma continuare a considerare le attività commerciali come interruttori che si possono accendere e spegnere senza alcun preavviso è quanto meno irrispettoso nei confronti dei lavoratori oltre a cagionare un danno economico superiore a un lockdown.

Personalmente ad aprile incontrai il Sindaco di Milano, Beppe Sala, per consegnargli circa 400 mazzi di chiavi di ristoranti che avrebbero rischiato di chiudere a causa della gestione dell’emergenza. A gennaio quelle stesse chiavi le ho consegnate al Prefetto ma questa volta erano quelle dei ristoranti che avevano chiuso, quasi 400 attività nella sola area metropolitana di Milano.

Tante volte quando si leggono i dati si valutano i numeri sterili: cosa sono 400 ristoranti su 350.000?

Sono 400 mariti e mogli, con figli a casa, il cui futuro diventa ogni giorno più incerto, sono cuochi, aiuto cuochi, lavapiatti, baristi, camerieri, ragazzi che si pagavano gli studi lavorando, chi cercava di dare una vita migliore alla sua famiglia magari dall’altra parte del mondo, hanno nomi e cognomi, persone con cui abbiamo riso e scherzato, fino a quando non è stata tirata giù la saracinesca del locale per poi non vederla più alzarsi.

In ultimo voglio soffermarmi su una cosa, che forse è sfuggita ai più: c’è anche chi sta traendo enorme vantaggio da questa situazione, la Malavita.

Sfortunatamente è una “azienda” che non ha problemi di liquidità e sono all’ordine del giorno le intercettazioni della commissione antimafia della Regione Lombardia (ma non solo) riguardo proposte di acquisto di alberghi, ristoranti e locali del centro città a prezzi stracciati, ma con la minaccia di andare al ribasso qualora non si accetti subito. Del resto “loro” sanno bene che la situazione di emergenza, gestita in questo modo, non può che provocare un deprezzamento se non un fallimento delle attività del Ho.re.ca (hotellerie – restaurant – café)

Avere infiltrazioni malavitose in un settore chiave, non solo per Milano e la Lombardia, ma per tutta la Nazione avrebbe un impatto devastante sull’economia futura, permettendo un’estrema facilità di riciclo di denaro e innestando dei rapporti di concorrenza sleale impossibili da sostenere da parte dell’imprenditoria onesta.

Quindi quali sono gli errori da non commettere?

Sicuramente non considerare le attività commerciali come degli interruttori, a tal proposito riporto quanto scritto sulla vetrata di un ristorante di Milano:

Non siamo un interruttore, non potete accenderci e spegnerci a vostro piacimento, facendo pagare le conseguenze solo a noi.

Il nostro lavoro nasce dalle migliori materie prime fresche che il nostro Paese ci offre, acquistate dai produttori italiani per offrire a tutti voi ciò che ci rende unici al mondo: l’amore per l’ospitalità e la convivialità.

Ci state facendo buttare tutto: uova, cozze, vongole, pesce, frutta, verdura… e ci state facendo buttare la cosa più importante, l’amore per questo lavoro e con esso le famiglie che vivono di ciò.

Teneteci chiusi fino a che non saremo sicuri, oppure fateci lavorare con tutte le accortezze che sempre abbiamo avuto verso i nostri clienti e collaboratori.

Ma non accendete l’interruttore della speranza per poi spegnerlo e lasciarci tutti al buio.”

Sono troppi gli aspetti che gravitano intorno al settore dell’ospitalità per lasciarlo solo a sé stesso, cagionando anche ulteriori danni per la superficialità nella gestione dell’emergenza: la questione economica, la filiera che c’è dietro, le famiglie che ci lavorano, le infiltrazioni malavitose e non ultimo, l’eccellenza che ha sempre distinto la nostra Nazione nel mondo, la cucina e l’ospitalità.

Non spegnete l’interruttore!

di Riccardo Minati