In Italia comanda ancora Renzi

Che la moda del momento ormai da qualche anno sia quella di schernire sistematicamente il leader e fondatore di Italia Viva Matteo Renzi è chiaro a tutti, ma stando alle vicende di queste ultime settimane sembra che i gruppi parlamentari siano ancora sotto una sudditanza assoluta rispetto alle sue mosse. Renzi è uno che si muove sapientemente, che conosce bene la politica e che tira acqua al proprio mulino giocando molto anche sull’inconsistenza di chi lo circonda e finge di fargli strenua opposizione. Finge, sì, perché la realtà empirica dei fatti dimostra che Italia Viva, in questo momento, è il partito più in grado di mediare tra le esigenze di un centrosinistra semi-grillino al totale sbaraglio e tra un centrodestra ugualmente in difficoltà che prova a bollare come può i provvedimenti di Draghi cercando di farli passare come propri traguardi. Partiamo dal principio.

Mossa del cavallo, Conte I e, parzialmente, Conte II potrebbero quasi considerarsi acqua passata, se non fosse per il fatto che reddito di cittadinanza, quota100 e svariati disastri come il mega-indennizzo pagato ai Benetton per la rescissione del contratto con Autostrade e il blocco delle trattative per la messa a norma dell’Ilva di Taranto continuano a gravare sulle finanze pubbliche. Davano del pazzo a chi concepiva una crisi di governo “in pandemia”, a chi pianificava il “Conticidio”. Ci si aggrappava ai “responsabili”, e a farlo erano gli stessi che proponevano il vincolo di mandato parlamentare. Ma la realtà è che nessuno ha il coraggio di ammettere, a sé stesso prima che agli altri, che dalle dimissioni delle ministre Elena Bonetti, Teresa Bellanova e del sottosegretario agli esteri Ivan Scalfarotto qualcosa sembra finalmente andare per il verso giusto. Il Parlamento è quello che è, la maggioranza netta continua ad essere quella che è entrata col 33% puntando su vincolo dei due mandati, uscita dall’euro, “stop al veleno dei vaccini”, obiettivo zero sbarchi, “mai col partito di Bibbiano” e reddito di cittadinanza cambiando idea letteralmente su tutto con il governo successivo (oltre che cambiando maggioranza), ma l’inesperienza e la scarsa attitudine allo stare nelle istituzioni dei grillini/contiani sta pagando tanto al punto da far risultare quasi irrilevante la loro presenza parlamentare. Lo vediamo con il Ddl Zan: la stragrande maggioranza del Movimento 5 Stelle non si è neanche espressa, sull’orientamento di voto al Senato c’è il buio pesto. Si stima che in 15 o più senatori grillini saranno contrari, senza neanche contare le 46 anime in pena del gruppo misto di cui pressoché nessuno conosce le intenzioni (eccezion fatta per i due senatori del gruppo Azione/+Europa Richetti e Bonino che andranno sul sì).

Sulla questione Ddl Zan, Renzi è l’ago della bilancia. Perché? Perché ha capito come salvarlo dal crollo in Senato. Già, perché il rischio è concreto. Il gruppo più numeroso in Senato è quello dei grillini con 75 senatori, metà dei quali spinge tra l’altro per l’uscita dal governo Draghi. Insomma, poco attendibili ed inquantificabili. Subito dopo vengono Forza Italia-UDC e Lega-Partito Sardo d’Azione, che insieme ne fanno 115. Contando i 38 del Partito Democratico, i 20 che andranno sul no di Fratelli d’Italia, i 2 senza gruppo, gli 8 per le autonomie e la grande incognita dei 46 al misto è facile intendere che questa legge arriva in Senato con la conditio sine qua non della Dea Fortuna come principale artefice, che in realtà pende verso il no finale. In soccorso di Alessandro Zan, che pensa bene di discutere del Ddl in svariate dirette Instagram con un Fedez che rasenta i limiti dell’analfabetismo funzionale (non conosce i regolamenti del Senato, né tantomeno gli articoli del Ddl e la definizione di identità di genere), arriva Ivan Scalfarotto. Deputato di Italia Viva, sottosegretario agli Esteri nel governo Conte II e all’Interno nel governo Draghi, è lui il principale ideatore degli emendamenti che potrebbero salvare definitivamente il disegno di legge. Le piccole modifiche agli articoli 1, 4 e 7, nei quali non vengono assolutamente toccate le sanzioni ai danni di chi discrimina, possono essere un nodo cruciale nell’accontentare anche un centrodestra dubbioso che fino ad ora ha opposto un ostruzionismo deciso con oltre 300 emendamenti su ogni singola virgola della proposta. Zan e Scalfarotto hanno spesso lottato fianco a fianco nel Partito Democratico per la comunità LGBT+, essendo loro tra i fautori principali della legge sulle unioni civili approvata durante il governo Renzi. Eppure, a Zan così come a tutto il PD, non sembra interessare. Mettere la bandierina sull’idealismo giustizialista dell’annullamento del compromesso e del dibattito è la scusante presuntuosa di cui ci si può avvalere in caso di fallimento. Aldo Moro ci insegna che la politica è compromesso, dialogo, mediazione, ma questo è chiaro solo a Renzi, che ora può essere determinante nel dialogo tra il PD e Lega/Forza Italia.

Blocco dei licenziamenti? Stessa musica. Nel momento in cui la situazione andava sbrogliata, con un Matteo Salvini fortemente indeciso ed un Partito Democratico che giocava al “ce l’hai!”, i renziani hanno tenuto vivo il dialogo con il presidente di Confindustria Bonomi e con i vertici del governo, senza inutili bizze ideologiche o scontri frontali improntati sul non-agire che ha caratterizzato la discussione tra le parti sociali ed i “grandi” partiti di governo. Lo sblocco arriva dopo le rimostranze dell’impresa italiana, impossibilitata a ridurre i costi a beneficio del mantenimento del nucleo produttivo. Anche se giustamente molti lavoratori avrebbero rischiato, essendo stati i navigator grillini un totale disastro così come la politica del sussidio che ha gravemente pesato sul calo della produttività del paese negli ultimi tre anni. Sostanzialmente, nonostante le sfuriate quotidiane, tutti hanno deciso di affidarsi al team Draghi che ha carta bianca sui dossier più pesanti (Alitalia-ITA, Whirlpool, Ilva, riforma fiscale), lasciandosi il gusto della campagna elettorale continua a colpi di invettive, baldacchini, bacchettate continue e vacui post o tweet che dir si voglia.

E pure in quello, Renzi è centrale. Non si riesce a non parlar di lui. Da destra a sinistra, tutti sembrano volergli male ed essere concordi sul fatto che rappresenti la rovina del Paese. Poi, però, in aula la storia è un’altra. Gli emendamenti dei suoi parlamentari aprono a trattative prima ritenute impraticabili. Ed è evidente al punto che sui muri di tutta Roma sono iniziati a comparire cartelloni con la nuova fissa del momento: l’hashtag #TrustThePlanBischero accompagnato da un’immagine stilizzata del leader di Italia Viva con occhialoni scuri e sfondo pop ideata dai ragazzi di “Società aperta”, un blog satirico di stampo liberale che allude all’idea di un Renzi burattinaio che ha in mente un piano (plan) per tutto, a partire dai governi Conte fino al governo Draghi, per arrivare addirittura alla vittoria degli Azzurri all’europeo ed al trionfo dei Maneskin all’Eurovision. Nonostante il limitato numero di parlamentari, Renzi continua a tenere il banco come il professore che insegna agli alunni, e tutti aspettano di capire come andrà la mano del biscazziere. Sui social lo si insulta, in aula lo si celebra. Perché la realtà è che Matteo Renzi, il premier più giovane della nostra storia repubblicana, ha capito come gira la grande ruota della fortuna che è la politica italiana. Perché si sa, c’è chi la fortuna la aspetta e chi crea le circostanze giuste per averla sempre dalla propria parte. Hate it or love it, c’è chi con il 33% dei seggi non pesa come un Matteo Renzi con appena 46 parlamentari. Probabilmente, chi continua a rinfacciargli questo fantomatico 2% non si rende conto di stargli facendo un complimento. O forse sta implicitamente ammettendo la totale inconsistenza di chi dice di andargli contro.