Gli Stati Uniti d’Europa nasceranno dalla pandemia?

In ragione della pandemia da COVID-19 il PIL dell’Unione Europea si è contratto del 6,8% nel 2020. Secondo le previsioni economiche d’inverno 2021, l’economia dell’Eurozona crescerà del 3,8 % sia nel 2021 che nel 2022, mentre quella dell’intera Unione Europea crescerà del 3,7 % nel 2021 e del 3,9 % nel 2022.
Le proposte dell’UE riaprono il tema “EuroBond”: la pandemia porterà agli Stati Uniti d’Europa?

L’impatto economico della pandemia rimane però disomogeneo tra gli Stati membri e, secondo le previsioni, anche la ripresa sarà caratterizzata da andamenti differenti.

Nel corso degli ultimi dodici mesi le istituzioni europee e gli Stati membri hanno quindi avviato un approfondito confronto al fine di individuare possibili rimedi e consentire una rapida ed omogenea ripresa dell’economia. Il Consiglio Europeo ha così convenuto sulla necessità di una manovra di ampio spettro capace di far ricorso ad una pluralità di strumenti e di impegnare ingenti risorse finanziarie.

Inter alia, si è pertanto concordato un sostanzioso aumento del bilancio UE 2021-2027 attraverso il Next Generation EU (NGEU), che rappresenta il nuovo strumento dell’UE volto a raccogliere fondi sui mercati ed a canalizzarli verso i programmi destinati a favorire la ripresa economica e sociale.

Nello specifico l’accordo conseguito prevede un bilancio UE 2021-2027 di 1074,3 miliardi di Euro in termini di impegni, pari all’1,067% del Reddito Lordo dell’UE-27. In aggiunta, in virtù della decisione sulle cosiddette “risorse proprie”, alla Commissione Europea è conferito il potere di contrarre, per conto dell’Unione, prestiti sui mercati dei capitali fino a 750 miliardi di Euro da utilizzare al solo scopo di far fronte alle conseguenze della crisi COVID-19 (390 miliardi in sovvenzioni e 360 miliardi in prestiti). Il totale complessivo dell’impegno UE è quindi pari a 1.824,3 miliardi di Euro.

Sono previste 7 rubriche di spesa principali: Mercato unico, innovazione e agenda digitale; Coesione, resilienza e valori; Risorse naturali e ambiente; Migrazione e gestione delle frontiere; Sicurezza e difesa; Vicinato e resto del mondo; Pubblica amministrazione europea.

Gli Stati membri dovranno poi, a loro volta, predisporre dei Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (NRRP – National Recovery and Resilience Plans) al fine di definire i programmi nazionali di riforme e investimenti per gli anni 2021-23. I Piani saranno riesaminati e adattati, ove necessario, nel corso del 2022 per tenere conto della ripartizione definitiva dei fondi nel 2023. Il termine per la presentazione formale dei NRRP è fissato al 30 aprile 2021.

Come si può vedere dai dati riportati sopra, molto è stato fatto dall’Unione Europea nel corso di questo ultimo anno per cercare di contrastare i severi effetti della pandemia sull’economia degli Stati membri.

Ma tali misure, è doveroso ricordarlo, delimitate nel tempo e nell’importo, saranno effettivamente sufficienti a scongiurare i preoccupanti effetti sociali legati alla crisi economica?

Ad esempio, in Paesi gravemente colpiti dal Covid quali Spagna e Italia vi sarà, nei prossimi mesi, l’inevitabile sblocco del divieto dei licenziamenti da parte delle imprese. Infatti, a differenza di quello che è avvenuto in Germania e Francia dove il mercato del lavoro non è stato artificialmente bloccato, in Italia e Spagna da oramai un anno è stato imposto alle imprese il divieto di licenziare i propri dipendenti “ibernando” così, almeno in parte, la reale situazione sociale nei due Paesi.  

Anche a tale importante proposito, vale la pena ricordare quanto ha detto in una recentissima intervista al quotidiano “La Stampa” lo stimato (a livello internazionale) economista ed ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, a parere del quale «il Recovery Fund, nella migliore delle ipotesi, coprirà solo un ottavo del necessario nei prossimi anni. È troppo poco e i fondi arriveranno troppo tardi.» L’economista greco ribadisce poi che «la Bce dovrebbe erogare Eurobond per “europeizzare” il debito pubblico. Poi ci dovrebbero essere accrediti diretti nei conti bancari delle famiglie».

Per quanto concerne l’Italia, Varoufakis aggiunge che «ben 120 di quei miliardi sono prestiti. E’ l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno, considerato l’alto debito pubblico e il problema del suo pagamento. Poi certo ci sono anche 80 miliardi di sovvenzioni, ma sono da distribuire in sei anni: cioè circa 13 miliardi all’anno. Una goccia nel mare, macro-economicamente irrilevante».

Ebbene Varoufakis, oltre a suggerire di bonificare accrediti diretti alle persone in maniera ben più sostanziosa di quanto è stato fino ad oggi fatto individualmente dai singoli Paesi, ritorna su un tema a dir poco centrale dell’Unione, soprattutto per l’Eurozona: la condivisione continuativa e duratura negli anni del debito europeo a mezzo dell’emissione di titoli comunitari (i.e. cosiddetti Eurobond), garantiti dalla Banca Centrale Europea.

ll primo a lanciare l’idea degli Eurobond fu il politico francese Jacques Delors, Presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995. In Italia, tale argomento è stato più volte avanzato (già parecchi anni fa), tra gli altri da Giulio Tremonti e Paolo Savona, i quali ritengono la condivisione del debito un passo fondamentale per lo sviluppo di una solida e sempre più integrata Unione che sia fonte di crescita e benessere per i Popoli che la compongono. In ultimo, nel corso del Consiglio Europeo del 25 marzo 2021, anche l’attuale premier italiano ed ex Presidente della BCE Mario Draghi ha posto l’attenzione sulla necessità di emettere debito comunitario attraverso la creazione di un titolo comune. “Lo so che la strada è lunga, ma dobbiamo cominciare a incamminarci. È un obbiettivo di lungo periodo, ma è importante avere un impegno politico”, ha sottolineato Draghi ai capi di Governo e di Stato dell’UE.

L’articolo 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea stabilisce che l’obiettivo primario della Banca Centrale Europea è quello di mantenere la stabilità dei prezzi, cioè un tasso d’inflazione nell’Eurozona di circa il 2% nel medio periodo. Forse anche su spinta della Germania, memore del grande problema dell’iperinflazione che la afflisse durante la cosiddetta Repubblica di Weimar, si è così scelto di scongiurare a tutti i costi l’inflazione. E’ però qui doveroso ricordare che tra gli economisti vi è, da molti anni, un’accesa discussione circa l’assunto che l’inflazione sia di per sé una “sciagura” da evitare sempre e comunque. Alcuni studiosi distinguono infatti tra un’inflazione cosiddetta “buona”, quella cioè legata di fatto ad un aumento dei salari (che sono invece stagnanti da parecchi anni in molti Paesi europei tra i quali l’Italia) dovuto ad un’economia sana ed in espansione, ed un’inflazione che è invece effettivamente “cattiva” in quanto causata da una riduzione della produzione industriale in seguito a una crisi economica con conseguente aumento dei prezzi dei beni dovuto alla scarsità degli stessi.

Anche su questo, complesso ma fondamentale tema, l’Unione dovrà – prima o poi – confrontarsi apertamente.

Un cenno meritano certamente anche le politiche di “austerità” che hanno visto l’Eurozona avere una crescita economica media assai inferiore a quella di numerose nazioni concorrenti nell’arena globale. Queste politiche si basano sui Parametri di Maastricht con la famosa “regola del tre per cento”, ovvero l’obbligo per i Paesi dell’Unione Europea di non superare la soglia massima del tre per cento del rapporto fra il disavanzo pubblico (che si ha quando le uscite di uno Stato sono superiori alle sue entrate) ed il Prodotto Interno Lordo. Tale soglia massima del rapporto disavanzo / PIL è contenuta nel Protocollo 12, Articolo 1, della versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

A tale proposito, già negli anni ’90 del secolo scorso il leader socialista Bettino Craxi suggeriva con forza che venissero rinegoziati i Parametri di Maastricht, i quali se non appositamente modificati – a suo parere – avrebbero portato sventura in particolare all’Italia.
In conclusione, l’Unione Europea ha dato un’ottima prova di “esistere” nel corso di quest’ultimo anno ma nei prossimi mesi servirà un ulteriore cambio di passo. Sarà davvero necessario gettare il cuore oltre l’ostacolo, per il bene di tutti i Paesi membri, quelli più in difficoltà ma anche quelli che oggi appaiono essere forti e già in ripresa.