Covid: le conseguenze per le PMI

Il 3 novembre scorso è stato pubblicato il Rapporto Cerved PMI che fotografa la condizione economico-finanziaria delle PMI e ne delinea le prospettive di crescita. Questo compito nel 2020 è risultato  più difficile che in passato, ma ancora più necessario. Il Covid 19 ha rappresentato  infatti un’enorme sfida sanitaria per l’intero pianeta, con impatti senza precedenti sul nostro sistema di piccole e medie imprese, generando grande incertezza. L’emergenza Covid potrebbe generare effetti devastanti su un numero significativo di imprese, che operano nei settori più colpiti dalla pandemia. Una delle caratteristiche principali di questa crisi è infatti la sua natura fortemente asimmetrica, con effetti particolarmente negativi sulle imprese che operano nella filiera del turismo, sulla ristorazione e su alcuni settori industriali. Le conseguenze potrebbero essere molto violente: potenzialmente potrebbe perdere il lavoro un numero compreso tra 1,4 e 1,9 milioni di addetti, con un impatto sul capitale tra 47 e 68 miliardi di euro. Queste conseguenze così pesanti potrebbero tuttavia essere evitate da un rapido ritorno alla crescita e da un piano credibile di rilancio dell’economia italiana, che convinca gli imprenditori a non licenziare e a investire.

L’emergenza sanitaria in cui è piombato il pianeta nel 2020 per effetto della diffusione del Covid ha implicazioni economiche senza precedenti, sia in termini di natura che di intensità dello shock. Le conseguenze che interessano le PMI italiane sono molteplici, peculiari alla pandemia e diverse dalle crisi precedenti: il lockdown, con la chiusura forzata di molte attività, la ridotta mobilità delle persone, le norme di distanziamento sociale, i massicci interventi pubblici in ambito monetario e fiscale, i cambiamenti indotti nei comportamenti di persone e imprese per effetto del nuovo contesto (maggiore utilizzo di servizi digitali, smartworking, ecc.). Queste situazioni porteranno ad  effetti fortemente asimmetrici: per alcuni settori, le conseguenze saranno devastanti, mentre altri (pochi) potrebbero addirittura beneficiare di questa fase. Nel complesso, i fatturati delle PMI nel 2020 sono attesi in calo di 11 punti percentuali.

La quota di fatture inevase è progressivamente cresciuta dal 29% di gennaio 2020 a un massimo del 45% a maggio, per poi scendere a giugno e luglio (37%), rimanendo tuttavia a livelli ben superiori rispetto a quelli pre-Covid. Il Covid ha avuto conseguenze fortemente negative anche sulla natalità, con un impatto che ha quasi azzerato la nascita di nuove imprese ad aprile. La mancanza di queste nuove imprese potrebbe avere impatti nei prossimi anni, in termini di mancata crescita e mancati nuovi posti di lavoro.

Se proviamo ad analizzare i dati di mortalità troviamo invece dei dati in controtendenza, in quanto ci si aspetterebbe un aumento esponenziale del numero di procedure concorsuali e di tipo fallimentare, ma i dati che sono emersi dallo studio, aggiornati a fine ottobre, trovano un risultato inaspettato: drastico calo di procedure.

La mia opinione al riguardo trova una risposta semplice e scontata e, purtroppo, si fonda su dati non rassicuranti per il futuro. Durante il periodo del lockdown sono stati fatti diversi interventi normativi che hanno tentato di disciplinare gli impatti che il Covid avrebbe avuto nella giustizia civile o penale.

Per esempio sul fronte dei fallimenti tra gli interventi più rilevanti c’è stata la dichiarazione di improcedibilità che era contenuta nel Decreto Liquidità per tutti i ricorsi di dichiarazione di fallimento depositati tra il 09/03 e 30/06 .

Lo scopo era di evitare agli imprenditori la pressione crescente e bloccare il numero crescente di istanze in un momento in cui gli uffici giudiziari erano chiusi. Questo spiega il drastico calo del numero dei fallimenti emerso dai dati dell’osservatorio Cerved. Dovremmo chiederci cosa è successo nell’arco temporale compreso tra il 30 giugno e il 31 ottobre 2020, dato ultimo dell’Osservatorio Cerved.

Per i concordati dove non c’è stato nessun blocco normativo si è risentito, a mio avviso, di una situazione di stallo, in quanto a chi aveva già aperto il concordato o accordo di ristrutturazione e non è riuscito a rispettare gli impegni precedentemente presi, è stata data la possibilità di rinegoziare tempi e modi di rientro con slittamento al 31 dicembre 2020, di fatto allungando (ma non risolvendo) tali procedure che, di fatto, diverranno più lunghe.

A riguardo della tendenza delle liquidazioni volontarie delle società in bonis, ci sono stati interventi nel Decreto Liquidità e infatti la norma prevede, a tutela del capitale sociale, di non farlo erodere dalle perdite.

Questi interventi a tutela del patrimonio e a garanzia dei creditori sociali sono stati ispirati, a mio parere, dalla paura che le imprese avessero enormi difficoltà a ricapitalizzare e quindi fare ricorso al credito bancario, evitando ai soci di non intervenire con i mezzi propri.

La possibilità di riportare le perdite a nuovo nel 2021 non hanno fatto altro che rimandare il problema.

In questo contesto si inserisce inoltre la nuova normativa sulla crisi d’impresa e insolvenza, in cui una delle modifiche più rilevanti introdotte dalla riforma riguarda l’art. 2086, il quale stabilisce che ogni impresa ha i seguenti obblighi:

  • Istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale;
  • Attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

Al di là delle decisioni che il Governo o il legislatore potrebbero assumere in futuro al riguardo agli organi di controllo, l’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati impone all’imprenditore di adottare strumenti e procedure nuove ed efficaci in ambito di prevenzione e risoluzione della crisi.

Non si tratta solo dell’obbligo di rispettare una norma, ma piuttosto credo diventi indispensabile procedere senza indugio nel voler affrontare questo percorso per la salvaguardia dell’impresa, dell’occupazione e della tenuta economica del sistema produttivo, che nel nostro Paese è sostenuto per la maggior parte dalle PMI.