Va’ Pensiero: com’è nato il mito?

Giovanni Boldini , " Ritratto di Giuseppe Verdi ", 1886Olio su tela, 118x96 cm. Milano, Casa di riposo per musicisti. Una delle opere esposte alla mostra " Pittura Italiana del XIX secolo. Dal Neoclassicismo al Simbolismo ", da domenica fino al 22 gennaio 2012, a palazzo dell' Ermitage di San Pietroburgo, che illustrano gli stili di un secolo della storia dell'arte italiana e i suoi protagonisti. ANSA / UFFICIO STAMPA / ONLY EDITORIAL USE

Clara Maffei attende due ospiti.

L’amico e straordinario Maestro Giuseppe Verdi e la sua compagna, il soprano Giuseppina Strepponi.

Al loro arrivo, inizia una piacevole conversazione accompagnata dal gusto ghiotto di una tazza di cioccolata.

Però in città serpeggiano le tensioni – è il 1848 – e inevitabilmente il discorso scivola sull’Opera.

“Come non pensare al Nabucco? Lo straordinario debutto sei anni fa alla Scala, il 9 marzo 1842. Il coro del Va’ pensiero ispira a prender parte all’insurrezione, infiamma gli animi, la musica è appassionata e il pubblico è pronto a cogliere il riferimento”

“Cara Clara, condivido con voi questa riflessione. Quella sera, un tale trionfo! Io nel ruolo di Abigaille, ma devo essere sincera il vero protagonista fu il coro, il Va’ pensiero replicato a furor di popolo.”

“Caro Maestro, raccontatemi ancora il caso che fece scaturire dal vostro talento quest’Opera meravigliosa.”

E Verdi inizia a raccontare…

“Un giorno incontro per strada il Merelli, lo sapete, l’impresario della Scala.

Guarda Giuseppe – mi dice – ecco qui il libretto di Temistocle Solera. Prendilo, leggilo, un così bell’argomento.

E io accigliato gli rispondo – Che diamine debbo farne? Non ho volontà alcuna di leggere libretti!

E lui, tenace – Eh … non ti farai male per questo… –

Rincasai e arrivato nella mia stanza al Carrobbio gettai il manoscritto sul tavolo, il fascicolo cadde aprendosi. Rivedo la scena come ora: i miei occhi fissano la pagina che mi sta innanzi e mi si affaccia questo verso: Va’ pensiero sull’ali dorate.

Leggo i versi seguenti e ne ricevo una grande impressione ma rimango fermo nel proposito di non scrivere musica, troppe delusioni.

Vado a letto ma il sonno non veniva, il Nabucco mi trottava pel capo; mi alzo, leggo tutto il testo una due tre volte. Al mattino si può dire che sapevo a memoria tutto lo scritto del Solera. E sapevo che l’avrei messo in musica.