La prospettiva per il futuro delle città post pandemia è quella di una nuova visione non solo degli spazi abitati, ma anche degli spazi urbani.
E’ evidente che molte cose stanno cambiando in maniera irreversibile e il futuro urbano va progettato sin da ora, cercando le soluzioni migliori. L’esigenza attuale di ricondurre l’uomo ad un vivere sostenibile, ad impatto zero sull’ambiente, ha portato tecnici, studiosi a porsi domande su come sarà il futuro delle nostre città.
La città dovrà essere inclusiva, affinché ogni cittadino si senta coinvolto e possa partecipare al progetto urbano, sostenibile e resiliente, smart, con una tecnologia non fine a sé stessa ma al servizio degli abitanti.
Bisogna sperimentare nuovi metodi e pratiche per l’intervento nella città, con practice innovative per costruire una consapevolezza collettiva indispensabile alla costruzione della città del futuro.
Soprattutto nei momenti, come quello che stiamo vivendo, in cui emergono con maggiore evidenza problematiche, forme di degrado e di disagio legate alle disuguaglianze, la città diventa il luogo dove viene messa a rischio la salute e la sicurezza delle persone.
Nonostante la città resti comunque il luogo privilegiato per l’aggregazione, lo sviluppo, un luogo in cui si concentrano vantaggi per le imprese, le comunità, i singoli, i progettisti tendono ad individuare i piccoli borghi come alternativa, per una vita più serena e tranquilla
Infatti la pandemia, sembra aver aiutato la rinascita dei piccoli borghi e di aree un tempo depresse, oltre ad offrire opportunità di crescita e di attrazione per centri più piccoli.
Forse la giusta considerazione da fare non è eliminare la città o sostituirla, ma piuttosto riprogettarla, rigenerarla, con nuovi approcci e nuove strategie per permettere a tutti di sfruttare i vantaggi offerti dalle città.
Al momento la sfida più importante sembra quella di ridefinire il rapporto fra centro e periferia, dove i cittadini cercano in periferia nuove e più ampie soluzioni abitative. Ritornano allora centrali le infrastrutture: quelle digitali che hanno ribadito la propria importanza durante gli ultimi mesi, ma anche quelle fisiche per permettere una miglior comunicazione a tutti coloro che, lavorando e vivendo fuori dai centri, dovranno raggiungerli.
Nonostante le rivoluzioni annunciate per i mezzi di trasporto del futuro, è evidente che le esperienze di rigenerazione non possono limitarsi agli edifici, ma devono essere accompagnate dalla costruzione di aggregati sociali ed economici funzionanti.
La rigenerazione urbana come strumento per riqualificare il territorio significa approcciarsi all’evoluzione di un tessuto edificato e non, attraverso una serie di continue demolizioni, ricostruzioni e rifunzionalizzazioni delle sue parti che tengano conto delle esigenze specifiche del contesto.
I Comuni devono individuare, in appositi strumenti urbanistici di rinnovo urbano, gli ambiti periferici degradati e le aree dimesse situate all’interno del tessuto urbano, definendo le linee guida strategiche del loro rinnovo, da attuarsi mediante interventi coordinati di conservazione, ristrutturazione, demolizione e ricostruzione anche di intere parti. A tal fine si prevede l’incentivazione delle iniziative dei soggetti pubblico-privati interessati, mediante opportuni incentivi e procedure semplificate, ma non basta la sinergia tra politica, tecnici, impresa e finanza: serve anche la consapevolezza dei cittadini sulle condizioni del loro habitat.
La principale sfida per l’Italia sarà quella di identificare una propria strategia di sviluppo e utilizzare a questo fine la risorse del Recovery Plan.
I fondi europei devono essere parte strategica che coinvolga anche gli attori privati, da sempre fondamentali nell’evoluzione urbana.