Scuola migliore per un futuro migliore

Libertà di educazione e formazione permanente sono le vere sfide da affrontare quando si parla si scuola, di educazione e quindi di creazione di un futuro migliore. Non è una responsabilità da delegare ad alcuni, o da circoscrivere in un dibattito tra politica, sindacati e burocrazia: riflettere sul dopo è un dovere irrinunciabile di tutti poiché partendo dalla scuola si crea la società del futuro.

Stiamo aspettando la valanga di investimenti di circa 235 miliardi di euro che “forse” pioveranno sull’Italia dal 2021 al 2026, legati essenzialmente al “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (PNRR), un nome triste, costruito con una alluvione di 337 pagine zeppe di parole e numeri in stile perfettamente bancario e contabile.

I sei capitoli su cui si deve articolare questo piano monstre ce li ha dettati l’Europa, magari noi qui e là abbiamo un po’ esteso i contenuti per farci rientrare anche altri temi, ma niente di grave.

Per comprendere la situazione in cui ci troviamo dobbiamo aver presenti due aspetti: da una parte c’è il rischio, i precedenti non mancano, che per accontentare tutti si sprechi anche questa occasione; dall’altra un fatto è certo: la pandemia non è la causa delle disastrose condizioni in cui versa l’Italia. Risolvere un problema di questa dimensione non è solo questione di soldi, servono idee e visioni; non basta quanto si investe, la differenza si costruisce soprattutto sul come si investe e come si mette in pratica.

Al di là dei numeri i fatti: da troppi anni abbiamo una classe dirigente di bassa qualità in tutti gli ambiti: politica, imprenditoria, burocrazia, e così via. Nel Piano presentato da Draghi in qualche modo si parla di quelle che sono definite “riforme di contesto”: giustizia (non è solo un problema di durata abnorme dei processi, ma anche e soprattutto di perdita di credibilità dell’arbitro), pubblica amministrazione e semplificazione legislativa (una ragnatela burocratica che opprime e soffoca la vita dei cittadini e delle aziende), concorrenza e fisco (un mostro onnivoro che divora ricchezza senza dare in cambio servizi adeguati). È vero che la situazione è profondamente deteriorata, e spesso questo facilita la ricerca di una soluzione, tuttavia non sono sicuro che cambierà qualcosa. Vedrete: siamo, al solito, ai pannicelli caldi.  Buone intenzioni, tentativi e poi, come Tancredi, gattopardescamente, ci adegueremo all’italico detto “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.  

Veniamo alla scuola. Il capitolo istruzione e ricerca ha a disposizione quasi 34 miliardi di euro e certamente alcuni aspetti come l’insufficiente presenza dei nidi e delle scuole di infanzia o la fatiscenza di molte strutture, possono essere risolti solo con adeguati stanziamenti. Molto probabilmente un lungo periodo di docenza a distanza non aiuterà gli studenti ad affrontare meglio il futuro scolastico e lavorativo. I problemi di fondo, però, non si risolveranno con gli investimenti: bisogna cambiare radicalmente prospettive e presupposti.  Paghiamo le conseguenze di un approccio al sistema educativo che da una parte ha banalizzato i contenuti ed escluso alcuni insegnamenti “inutili”, dall’altra ha portato alla promozione di chiunque, a volte anche nelle università. La scuola non deve solo istruire, deve prima di tutto educare. Bisogna alzare l’asticella, garantire a tutti una severa istruzione di base, senza regalare nulla, stimolare all’eccellenza docenti e studenti. L’insegnamento non è un ammortizzatore sociale. Non conta solo la percentuale di diplomati e laureati a confronto con le altre nazioni, bisogna alzare la qualità. Il fine primo non può essere quello di trasferire competenze specialistiche, l’obiettivo centrale è quello di formare persone capaci di pensiero autonomo e critico. È necessario che la scuola non educhi solo alle best practice, ma educhi all’errore, non alla pigrizia e alla sciatteria, ma al pensiero critico, autonomo, solo così spingeremo i giovani all’innovazione. Bisogna preparare al lavoro, non solo fornire una formazione specialistica; creare le condizioni per un futuro di formazione continua.

Un presupposto indispensabile è capire che dobbiamo ridare valore sociale alla figura dell’insegnante, partendo dalla selezione e dalla motivazione: non possiamo tenere al margine della società chi ha la responsabilità di formare i futuri cittadini, i professionisti di domani. E non è solo un problema di trattamento economico.

Prima di tutto la libertà di scelta educativa. Questa si consegue solo se le famiglie dispongono, sulla base di costi standard, di una quota da destinare alla formazione dei figli, che rende liberi di scegliere equiparando i diversi tipi di scuola, con lo Stato che assume la funzione di garante del sistema, come già avviene in altre nazioni. Per innalzare il livello è indispensabile che le scuole siano libere di scegliere e di retribuire i docenti sulla base delle loro capacità, facendo competere pubblico e privato, personale direttivo e docente, valutando i risultati e premiando i migliori.

Poi la formazione permanente. Anche in questo ambito siamo agli ultimi posti nelle classifiche dei Paesi occidentali. Il cambiamento nel mondo del lavoro è sempre più frenetico nei tempi e profondo nelle tematiche. Certamente alcuni approcci sono mode, meteore costruite più per il business dei formatori che per reali capacità di risolvere problemi nuovi o in modo nuovo, tuttavia disponiamo di nuovi strumenti di analisi, di nuove tecnologie, di nuovi approcci e metodologie. È un mondo che richiede capacità critiche per comprendere e capacità tecniche per utilizzare vantaggiosamente. La scuola e le agenzie formative di qualsiasi tipo devono preparare al cambiamento continuo, che è soprattutto un fatto culturale, e affiancare nel conseguire le competenze necessarie. A volte avremo bisogno di una formazione approfondita su un tema specifico, altre dovremo imparare a leggere cambiamenti di paradigma o di scenario, altre ancora dovremo studiare sulla base dei problemi da affrontare. Già oggi non è più come prima: prima si studia e poi si comincia a lavorare.

Una considerazione, infine: cambiare la scuola vuol dire cambiare la società, ma come riusciremo a cambiare la scuola se non cambia la società?