Marco Eugenio Di Giandomenico è scrittore, critico e curatore artistico, economista della cultura e dell’arte, esperto del terzo settore e di Corporate Social Reporting (CSR), titolare di prestigiosi incarichi accademici presso università e accademie di belle arti italiane ed estere tra cui l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano e l’ARD&NT Institute (Accademia di Belle Arti di Brera e Politecnico di Milano) e design. Con lui abbiamo parlato di arte e sostenibilità
Cosa è per lei la sostenibilità?
“La sostenibilità è un termine che non è un neologismo, solo nella seconda metà del ‘900 viene declinato nella sua accezione ambientale. Le risorse naturali non sono infinite e vanno preservate anche attraverso i comportamenti degli operatori economici che devono tutelare la ricchezza dell’ambiente per non abbassare la qualità della vita delle generazioni successive. Ed è proprio per questo che viene introdotto il concetto di responsabilità”.
E oggi?
“Negli ultimi 20 anni, con l’avvento della tecnologia, l’arte ha fatto proprio il concetto di sostenibilità. Se si pensa che l’opera d’arte possa addirittura essere un file bisogna capire in che modo il linguaggio creativo si rapporta con il passaggio dei concetti alle generazione future, proprio in questo contesto avviene un cambio epocale legato alle tecniche. La creatività si esprime attraverso tecniche differenti oggi. Se stampo un file in 3d posso dire che è un manufatto realizzato con una tecnica scultorea?”
Ci faccia un esempio
“La moda è sostenibile perché utilizza tessuti riciclabili? No , non è così. Il punto è tramandare un messaggio alle generazioni successive. Il tema vero è come la tecnologia interviene sulla creatività. La sostenibilità è quindi un approccio culturale, un’arte che abbia un messaggio sociale che si trasmetta, attraverso le tecnologie, su canali diversi. Non è una corrente come il surrealismo ma ci sono dei canoni che vengono tramandati alle generazioni successive.”
Quale può essere un driver di sviluppo di questo approccio?
“La rete ed il digitale pongono delle riflessioni. Quanto sono un mezzo e quanto sono un oggetto? Noi oggi maneggiamo una realtà virtuale che non ha precedenti nella storia e non sappiamo come gestirla. Un driver per guidare questo sviluppo è quello dell’utilizzo consapevole di queste tecnologie.”
Che rapporto c’è tra arte e comunicazione?
“Byung-chul Han ha scritto un libro sulla società della trasparenza: con le tecnologie cerchiamo l’ipercomunicazione, non c’è un approfondimento del messaggio ma si basa tutto sul consenso. Quanti post approfondiamo sui social? Quanto consenso inconsapevole c’è? Nasce anche un problema del mercato dell’arte, c’è la possibilità di manipolare un mercato attraverso il consenso. In poche parole, la sostenibilità è l’arte oggi. Se la cosa non vale e viene comunicata in modo manipolativo, si acquista un’opera per fare un affare ma senza che ci sia qualità. Attraverso i nuovi mezzi una performance può diventare di tutto, da un video ad una foto scatenando emozioni. Ma emozionare e coinvolgere è il vero senso dell’arte? Accostarsi alla bellezza è un’altra cosa.“
La conclusione dell’articolo è dedicata al ricordo di Renato Di Giandomenico.
Come l’ex calciatore Mauro Bellugi e il divo hollywoodiano Nick Cordero, anche il noto cantante degli anni sessanta Renato Di Giandomenico (in arte Renato Doney), padre del critico d’arte Marco Eugenio Di Giandomenico, viene a mancare a causa del Covid a 87 anni, dopo l’amputazione della gamba sinistra e cinque mesi di sofferenze terapeutiche.
Renato Doney, vincitore nel 1956 e nel 1957 del premio come migliore cantante dell’anno della RAI Radiotelevisione Italiana conferito dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, è protagonista fino al 1964 (anno del suo incontro con Olga Maria Vitocco che sposa nel 1965, uscendo per sempre dalla scena pubblica) della dolce vita romana, insieme ad artisti del calibro di Tony Renis, Franco e Giorgio Bracardi, Fred Bongusto, Nicola Arigliano e tanti altri.
Dopo la scomparsa dell’amata moglie Olga Maria nel 2012 a causa di un male incurabile, Renato Doney, nel 2016, è tornato in grande stile sulla scena al teatro La Triennale di Milano con la Civica Jazz Band diretta da Enrico Intra, in uno spettacolo dal titolo “Pensando ai Blues Brothers, da Count Basie a James Brown”, ideato da Roberto Favaro e da Marco Eugenio Di Giandomenico, nell’occasione e in overture del Musical Blues Brothers, diretto da Chiara Noschese. Dopo mezzo secolo, il raffinato vocalist Renato Doney ha eseguito alcuni pezzi classici, con una linea vocale intatta, un mix tra Tony Bennett e Frank Sinatra, con toni quasi confidenziali, a mo’ di un crooner della migliore tradizione statunitense.