Come noto, con il Dl 41/2021, il cosiddetto Decreto Sostegni ha prorogato la previsione emergenziale relativa all’impossibilità di procedere con licenziamenti individuali, individuali plurimi e con le procedure collettive. Ciò, combinandosi con l’utilizzo degli ammortizzatori sociali straordinari, prevede il divieto di rescindere i rapporti per alcuni datori di lavoro sino al 1° aprile e per altri al 31 dicembre prossimi.
Non può certamente essere taciuto come tale misura abbia suscitato non poche perplessità, e non solo tra gli operatori del diritto poiché, nei fatti, impedisce libertà di iniziativa economica, ex art. 41 della Costituzione.
Per vero dopo un primo momento di ottundimento, poi recuperato con “serenità”, era stato fugato il dubbio che la categoria dei Dirigenti non fosse esclusa da tale divieto. Ed infatti: se da un lato la normativa per il contrasto dell’emergenza epidemiologica aveva specificatamente vietato di avviare procedure di licenziamento collettivo, ex art. 4, 5 e 24 legge n. 223/91, e di licenziare per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604/66 “indipendentemente dal numero dei dipendenti”; dall’altro sembrava pacifico che la suddetta normativa – Legge n. 604/66 – non trovasse alcuna applicazione per il personale dirigenziale poiché nell’ordinamento legislativo italiano il licenziamento dei dirigenti non è vincolato a forme di tutela sulla conservazione del posto di lavoro ma solo a forme risarcitorie dettate dai CCNL qualora non fosse rinvenuta una “giustificatezza” nella risoluzione del rapporto.
È forse meno noto che il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 26 febbraio 2021, abbia voluto interpretare la normativa vigente per questo periodo – e quindi eccezionalmente rispetto alla regolamentazione generale e consolidata – estendendo il divieto in esame anche a quest’ultima categoria di dipendenti. Tralasciando la dissertazione in diritto, è bene spiegare che, ad avviso del giudicante, le motivazioni che hanno indotto il Legislatore a imporre il blocco rispondono a una esigenza di ordine pubblico consistente nell’evitare che le conseguenze economiche della pandemia si traducessero nella soppressione di posti di lavoro: tale esigenza sarebbe comune, secondo la pronuncia, anche “ai dirigenti che anzi sono più esposti a tale rischio stante la maggiore elasticità del loro regime contrattualcollettivo di preservazione dai licenziamenti arbitrari (cd. giustificatezza)”. Quindi le esigenze d’ordine pubblico ed i presupposti di “solidarietà sociale” contenuti nella Costituzione Italiana giustificherebbero non solo il congelamento della libertà di iniziativa economica e privata ma altresì una interpretazione estensiva di una norma (quella emergenziale) a maggior tutela del lavoratore (dirigente).
È forse necessario interrogarsi in relazione a temi che vanno ben oltre le questioni relative al rapporto dirigenziale o all’interpretazione del concetto di “libertà di iniziativa economica”, come ad esempio sulle conseguenze che sentenze come queste insinuano nel sistema giuridico in cui si fonda, consolida e sviluppa l’imprenditoria italiana.
La norma sul divieto al licenziamento, ancorché opinabile, trova un suo equilibrio nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali emergenziali: tale binomio viene cementato con il Decreto Sostegni in cui si è voluto chiarire che l’imprenditore che abbia “a disposizione” uno strumento di ammortizzatore sociale, non possa licenziare. Chiara la conseguenza palindromica: “non serve licenziare finché esiste uno strumento che lo possa evitare”. E questo è un principio chiaro (anche se forse non a tutti) sin dal 1991…
Ebbene: i dirigenti non sono tutelati da alcun ammortizzatore sociale, non hanno Cassa Integrazione, non possono beneficiare di nessun assegno presso alcun Fondo di Integrazione: questo significa che, contrariamente agli altri lavoratori, il datore di lavoro non avrebbe potuto far altro che riconoscere la retribuzione anche senza poterla sostenere.
Pare quindi che il Giudice abbia voluto dare un’interpretazione della norma che non solo andasse contro la stessa, ma altresì si ponesse in modo anomalo rispetto al contesto normativo in cui questa è stata incastonata. Se è vero che il termine “Giudice” deriva dal latino “jus dicere” ci si chiede quale sia il diritto su cui “l’iniziativa economica privata” possa fondarsi: quello del legislatore o quello del giudice?
di Massimiliano Arlati, ArlatiGhislandi – AG Studi & Ricerche