Covid19: il cibo è un rischio? No!

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Rischio di infezione attraverso gli alimenti e certificazioni “coronavirus free”

E’ un fatto: ci troviamo ad affrontare insieme un’emergenza sanitaria senza precedenti, la Pandemia dichiarata tale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che colpisce tutti noi oramai da tempo, in un modo o nell’altro.

Negli ultimi mesi i media sono brulicanti di notizie sul tema ed i cittadini si affidano alle notizie televisive, alla stampa nonché ai siti internet per cercare risposte e soluzioni contro questo nemico invisibile. Orientarsi è davvero difficile.

Ciò a causa del dilagare di numerose fake news sul tema poi smentite dalle Autorità ma che, inevitabilmente, hanno spesso portato ad interrogarsi su chi e di quali informazioni fidarsi.

Due tra le tante notizie false da sfatare sono quelle sui legami tra il Covid-19 e l’alimentazione, ovvero sulla possibilità di contrarre il virus attraverso il cibo e la garanzia che la sicurezza alimentare ed i controlli ufficiali lungo la filiera non siano ad oggi prestati efficientemente, date le indubbie difficoltà del momento storico che stiamo vivendo. La disponibilità di alimenti sicuri è un requisito essenziale per la tutela della salute umana e la protezione dei consumatori.

  • A. Alimenti come veicolo di trasmissione del Covid-19 e certificati “coronavirus free”

L’allarme era scattato fin dall’inizio della comparsa del Covid-19 nel nostro Paese, nel momento in cui veniva denunciato il blocco di un lotto di Grana Padano alla frontiera greca per timori di contaminazioni da Coronavirus. Nonostante la situazione si sia risolta con un’autocertificazione da parte dell’azienda produttrice facente parte del Consorzio, la situazione richiamava l’attenzione delle Autorità (tra cui il del Ministro delle Politiche Agricole) ed arrivava alle ambasciate di Roma ed Atene: la vicenda rischiava infatti di prestarsi a facili strumentalizzazioni a danno del patrimonio alimentare italiano e di sollevare allarmismi tra i consumatori.

Questo a maggior ragione se consideriamo che l’Unione Europea aveva già diramato on line la seguente notizia: “ There has been no report of trasmission of Covid-19 via food” (ovvero NON VI E’ ALCUNA EVIDENZA DI TRASMISSIONE DI COVID-19 TRAMITE ALIMENTI).

Di conseguenza, fin dalla fine di febbraio 2020, si leggeva sul sito del Ministero di “alcune catene della grande distribuzione europea che, strumentalmente, chiedono garanzie sulla sicurezza degli alimenti provenienti dall’Italia per cui, a partire dall’emergenza, molti prodotti Made in Italy sono bloccati”.

Da cui la richiesta al Presidente del Consiglio e al Ministro per la Salute “di sensibilizzare specificamente la Commissione Europea sollecitando un intervento per affermare che non sono legittime e tollerabili richieste di certificazioni aggiuntive per i prodotti italiani, poiché non sussistono rischi di trasmissione del virus attraverso gli alimenti e gli imballaggi“.

A fronte della situazione creatasi che metteva in gravose difficoltà il comparto alimentare già sufficientemente provato e destava timore tra i cittadini, sono dunque intervenute dai primi giorni di marzo le dichiarazioni del Ministero della Salute, dell’Istituto Superiore della Sanità, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, della Commissione Europea ed altre Autorità, volte a chiarire definitivamente che il cibo non costituisce veicolo di trasmissione del Covid-19 e che non è legittima alcuna richiesta dei c.d. certificati “coronavirus free” o “virus free” per alimenti provenienti dall’Italia. Su quest’ultimo punto è intervenuto anche il Governo: nella legge di conversione del decreto Cura Italia ha introdotto specifiche regole per la tutela del Made in Italy nel comparto agroalimentare che, già provato da questo difficile periodo di emergenza sanitaria, rischiava di essere ulteriormente pregiudicato, così stabilendo che una tale condotta costituisce pratica commerciale sleale e scorretta.

Dai provvedimenti menzionati si evince, dunque, chiaramente che il virus SARS-Covid-2 si diffonde per contagio inter-umano e non vi sono evidenze di trasmissione alimentare.

In via esemplificativa, si riporta il contenuto del comunicato del Ministero della Salute che fin dal 2 marzo 2020 dichiarava: “anzitutto occorre ribadire che allo stato attuale non risulta alcuna evidenza scientifica della trasmissione del virus SARS-CoV-2, agente eziologico della malattia Covid-19, dagli animali domestici e attraverso gli alimenti. La sicurezza alimentare continua ad essere garantita dalle norme vigenti e pertanto eventuali richieste di certificazioni in tal senso e non previste sono da considerarsi inappropriate”. I certificati “virus free” sono perciò del tutto privi di valore legale e/o tecnico. Del resto, ancora ad oggi non risulta coinvolta nella risposta all’epidemia l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare nonostante il suo ruolo scientifico proprio in considerazione della totale assenza di dati sulla possibile trasmissione del coronavirus tramite il cibo.

  • B. Contaminazione secondaria da goccioline di secrezioni respiratorie: azioni correttive nella gestione del rischio biologico da contaminazione SARS-CoV-2 a garanzia della sicurezza degli alimenti

Gli alimenti possono divenire fonti di contaminazione secondaria, a mezzo delle superfici dove vengono manipolati o delle goccioline di secrezioni respiratorie (“droplets”, ovvero starnuti, colpi di tosse e simili) che possono essere emesse dai lavoratori magari infetti, sia pure asintomatici. E’ perciò risultato indispensabile prevedere delle azioni aggiuntive mirate a circoscrivere nei limiti del possibile il rischio indotto proprio dalla presenza sul lavoro di soggetti potenzialmente infetti. Queste azioni sono altresì volte all’applicazione rafforzata di buone prassi igieniche e hanno il preciso scopo di riorganizzare le attività umane nell’impresa e prevenire, mitigare il rischio biologico legato alla contaminazione da SARS-CoV-2.

Vista la necessità di adottare misure di sicurezza ulteriori rispetto a quelle ordinarie, che già  incombono sui lavoratori del settore alimentare, sono state emanate delle linee guida dalla Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura e dalla Organizzazione Mondiale della Sanità che, dopo avere nuovamente ribadito l’assenza di prove che il virus Covid-19 possa trasmettersi attraverso gli alimenti o i loro imballaggi, hanno precisato quali debbano essere i comportamenti prudenziali da adottare nelle varie fasi della produzione, per quanto, anche nel caso di soggetti asintomatici, il rischio che il virus arrivi sugli alimenti è minimo se non pressocché nullo.

Linee guida e provvedimenti emergenziali che sono stati a loro volta ripresi dall’Istituto Superiore della Sanità (ISS) nel proprio rapporto Covid-19 n. 17/20. L’ ISS, infatti, ha fornito indicazioni e raccomandazioni specifiche per garantire l’igiene degli alimenti e degli gli imballaggi nelle fasi della produzione, della commercializzazione e perfino al momento di fare la spesa e del consumo domestico, data la necessità di un coinvolgimento dello stesso cittadino-consumatore come parte attiva della sicurezza alimentare. A proposito, lo sapevate che è meglio evitare il contatto tra alimenti crudi e cotti? E che i coltelli che avete utilizzato per i cibi crudi è meglio non riutilizzarli per tagliare quelli cotti? E che se usate borse della spesa riutilizzabili è meglio lavarle?

A sua volta, la Direzione Generale per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione Europea ha pubblicato un documento divulgativo, “Covid-19 and food safety”, nel quale sotto forma di domande e risposte, fornisce ulteriori importanti ed utili informazioni, basate su evidenze scientifiche, circa la sicurezza degli alimenti in relazione all’avvento della Pandemia e sulle buone pratiche da adottare negli ambienti di lavoro nonché in quello domestico. Ribadendo nel testo che non vi sono prove che il cibo costituisce un rischio per la salute pubblica e che, pertanto, una certificazione “virus free non può essere giustificata: qualunque richiesta per tali garanzie è quindi non accettabile.

  • C. Garanzia dei controlli ufficiali: regolamenti d’urgenza della Commissione Europea e disposizioni del Ministero della Salute

Tutto ciò premesso, essendo la continuità di esercizio nelle filiere agroalimentari indispensabile per garantire l’approvvigionamento di beni di primaria necessità, oltre che l’economia, la Commissione Europea ha adottato fin dalla prima fase della Pandemia un regolamento d’urgenza che disciplina i controlli ufficiali che effettuano le Autorità sui prodotti alimentari per garantire il rigoroso rispetto dei requisiti di sicurezza alimentare a tutela della salute pubblica (Reg. UE n. 446/2020, prorogato con Regolamento di esecuzione (UE) 1341/2020  fino al 1 febbraio 2021); a sua volta, il  Ministero della Salute, tenuto conto anche di detto regolamento, ha previsto specifiche modalità operative nell’ambito dei controlli pubblici veterinari e delle produzioni alimentari per far fronte all’attuale rischio sanitario (è stata emessa il 24 novembre 2020 la nota prot. n. 0025353 che conferma e proroga fino alla fine dell’anno quanto già disposto con nota l0008536-DGSAF/0012758-DGISAN del 8 aprile 2020).

In conclusione:

  • Il virus SARS-CoV-2 si diffonde per contagio inter-umano e non vi sono evidenze di trasmissione alimentare e di conseguenza non è legittima la richiesta di un certificato “coronavirus free”;
  • La sicurezza degli alimenti nel quadro normativo europeo è garantita tramite un approccio combinato di prevenzione del rischio e controllo che abbraccia la filiera agroalimentare “dal campo alla tavola”;
  • Nel corso dell’epidemia, la tutela dell’igiene degli alimenti è stata rafforzata prevedendo azioni aggiuntive rispetto ai presidi già previsti per legge, mirate a circoscrivere ulteriormente il possibile rischio derivante dalla presenza di soggetti potenzialmente infetti negli ambienti destinati alla produzione e commercializzazione di alimenti;
  • le attuali limitazioni, incluso l’eventuale rinvio di alcuni controlli ufficiali in base ad una valutazione del rischio, non sono tali da pregiudicare la sicurezza degli alimenti. A tale proposito la Commissione Europea ha adottato fin dal 30 marzo 2020 regole straordinarie per facilitare e pianificare i controlli ufficiali che sono state prorogate fino al 1 febbraio 2021 ; ciò premesso, il Ministero della Salute, in continuità con i predetti regolamenti, ha emesso una serie di note, da ultimo il 24 novembre 2020, individuando le attività che devono essere assicurate sul territorio nazionale per motivi di rischio sanitario.

Ma… alla luce di quanto osservato in quest’epoca di distanziamento sociale ed economico, che probabilmente non ci abbandonerà ancora per un certo periodo in attesa dell’avvento definitivo dell’anelato vaccino, è sicuro ricorrere al food delivery? e quale ruolo avrebbe potuto assumere il digitale (o in alcuni ma sporadici casi ha già assunto) per fornire maggiori garanzie ai consumatori sulla sicurezza alimentare e sulla tracciabilità dei prodotti, oltre ad una  maggiore tutela al patrimonio alimentare italiano?

La pandemia dovrebbe rappresentare un’occasione per stimolare una maggiore attenzione verso tutte le forme di innovazioni tecnologica, in particolare la Blockchain, di cui avremo occasione di parlare e vedere come è stata applicata anche, ma non solo, nel food delivery.